Contro il disagio giovanile, dare valore e risorse alla scuola pubblica - di Silvano Guidi

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Negli ultimi mesi si sono verificati numerosi episodi di violenza all’interno delle scuole. I mezzi di informazione li hanno ampiamente ripresi aprendo, o riaprendo nuovamente, un dibattito sul ruolo della scuola e sulla condizione giovanile.

Si tratta di episodi gravi - a Rovigo due studenti hanno sparato pallini di plastica in faccia all’insegnante, ad Abbiategrasso uno studente ha ferito la sua docente con un coltello - che non possono essere sottovalutati, né relegati al rango di bravate giovanili. Segnalano al contrario un disagio serio, un malessere diffuso che trova nelle aule scolastiche la manifestazione più evidente.

Il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara è intervenuto sui fatti sostenendo che questi episodi segnalano un aumento del disagio psicologico da parte degli studenti, accentuato anche dall’esperienza del Covid che ha contribuito a incrinare le relazioni interpersonali. Il ministro ha poi annunciato un provvedimento legislativo al riguardo.

In particolare l’intervento dovrebbe riguardare tre direttrici. Innanzitutto il ripristino del voto di condotta, al posto degli attuali giudizi, nella scuola secondaria di primo grado. Nella scuola secondaria di secondo grado il voto di condotta inciderà sui crediti per l’esame di Stato. Infine sarà assegnato il debito in educazione civica agli studenti che conseguiranno voti di condotta insufficienti.

Nell’azione del ministro appare chiaramente l’intento di intervenire sul problema del disagio giovanile con strumenti di tipo repressivo. Gli interventi annunciati, infatti, non vanno nella direzione di modificare le relazioni educative, ma di provare a impedire o limitare gli episodi di violenza. Il ministro sembra più interessato a risolvere un problema di ordine pubblico piuttosto che affrontare la questione del disagio giovanile e della condizione di vita all’interno delle scuole, sia degli studenti che degli insegnanti.

Da molti anni ormai i provvedimenti legislativi riguardanti la scuola vanno nella direzione di una diminuzione dei fondi disponibili. In seguito alle riforme Gelmini e Moratti sono stati ridotti gli organici, con tagli insostenibili per il personale Ata, limitato il tempo pieno, fortemente ridimensionate le copresenze, aumentato il numero medio di alunni per classe. Nel contempo, da più parti si chiede all’istituzione scolastica di farsi carico di tutte le difficoltà e le esigenze che la società non riesce ad affrontare, dal bullismo ai disturbi alimentari, dall’educazione all’affettività fino all’educazione civica.

I docenti si sono trovati in una condizione di solitudine, senza adeguata formazione, senza supporto da parte delle istituzioni. I medici scolastici sono stati eliminati, i finanziamenti per gli psicologi sono stati ridotti con le ultime leggi finanziarie. Gli enti locali hanno diminuito in molti casi a loro volta i finanziamenti e il supporto alle scuole, tagliando i servizi, limitando la presenza degli educatori, scaricando sugli alunni disabili e sull’intera comunità scolastica le conseguenze dovute ai tagli di bilancio.

Non si può ridurre in continuazione la spesa per la pubblica istruzione, chiedendo nel contempo a chi nella scuola lavora sempre maggior impegno, responsabilità più elevate e carichi di lavoro insostenibili sia per i docenti che per il personale Ata.

Il disagio giovanile non si può affrontare con strumenti di carattere repressivo, ma ripristinando corrette relazioni educative. Già all'inizio degli anni ‘70, l’Unesco indicava la necessità di coinvolgere nell’educazione associazioni, enti locali, corpi intermedi e l’intero territorio di riferimento.

L’articolo 24 del Ccnl del 2018 ribadisce che “la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni”. Una comunità educante ampia, che in primo luogo deve coinvolgere studenti, docenti e genitori in un progetto di cooperazione educativa, e non di sterile contrapposizione tra le diverse componenti.

Occorre ridare alla figura del docente il ruolo sociale perso da tempo. Servono finanziamenti (gli stipendi dei docenti italiani continuano a essere tra i più bassi d’Europa) e serve collaborazione con gli altri soggetti, serve rimettere l’istituzione scuola al centro del processo educativo e di crescita di ogni studente, garantendo a ciascuno la possibilità di crescita in un contesto inclusivo e accogliente.

Cento anni fa la riforma Gentile cristallizzava le differenze sociali esistenti istituendo un sistema formativo che premiava le classi sociali più elevate e destinava ai lavori manuali i ceti meno abbienti. Nello stesso anno nasceva don Milani, che avrebbe sovvertito quel paradigma indicando nella valorizzazione della scuola pubblica lo strumento principale di redenzione per le classi subalterne e di crescita culturale e civile per tutto il Paese.

Il ministro Valditara preferisce recuperare l’impostazione gentiliana piuttosto che l’insegnamento di don Milani. Noi siamo convinti del contrario.

 
 
 
 
 
 
 
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