Brindisi: la Cgil per un altro modello di sviluppo - di Angelo Leo e Claudia Nigro

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Il 24 agosto e il 30 settembre si sono tenute a Brindisi due grandi manifestazioni indette dalla Cgil insieme a tante associazioni - Forum Ambiente Salute e Sviluppo, Italia Nostra, Legambiente, Medicina Democratica, No al Carbone, No Tap/Snam, Salute pubblica, Wwf, Arci e Anpi - contro la realizzazione di un deposito costiero di gas naturale liquefatto da parte di Edison nell’area di Costa Morena est, nel porto della città messapica. Questa mobilitazione ha scatenato una serie di veleni, tanto da portare il presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico Meridionale, Ugo Patroni Griffi, a definire “ignoranti” quanti rifiutano l’ennesimo investimento caratterizzato da fonti fossili.

Brindisi è una città segnata pesantemente dalla sua storia industriale. La grande industria sbarcò negli anni ’60, con gli stabilimenti petrolchimici affacciati sul porto: Montecatini, divenuta poi Montedison e poi Eni, insieme a una prima centrale termoelettrica Enel, quando il Salento era un mondo rurale povero e arretrato. Nel momento di massima espansione la zona industriale di Brindisi dava lavoro a 15mila persone, 25mila con l’indotto.

Però il prezzo pagato è stato davvero alto. Oltre ad un drammatico arretramento dello sviluppo agricolo e a possibilità turistiche soffocate da paesaggi costellati da torce industriali, anni di polveri e di esalazioni tossiche hanno pesato sulla salute di brindisini e brindisine. Numerosi studi nei due decenni scorsi hanno osservato “eccessi” di mortalità per tumori maligni e malattie respiratorie e cardiovascolari.

L’area è già interessata dalla presenza di 11 impianti ad alto rischio di incidente rilevante, come il più grande deposito di gas naturale d’Europa, l’Ipem, a 1.800 metri dal centro abitato e a 500 metri dalla riserva regionale delle saline di Punta della Contessa, la fabbrica chimica Basell Poliolefine Italia, Versalis, altro stabilimento chimico che occupa una superficie complessiva di circa 4,6 milioni di metri quadrati all’interno del polo petrolchimico di Eni, l’industria farmaceutica Euroapi Italy Srl, e poi la Centrale termoelettrica di Enel Federico II, che utilizza il carbone come combustibile per la produzione di energia elettrica. Un ennesimo impianto a evidente rischio di incidenti rilevanti sarebbe insostenibile, oltre che per niente lungimirante, nel pieno di una conversione ecologica che impone il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili.

Il Sud deve affrancarsi e imporre, con uno scatto di orgoglio, di non essere subalterno a multinazionali che, per una manciata di posti di lavoro, ottengono “regalie” quali il costo della concessione dall’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico Meridionale ad Edison per la realizzazione del deposito gnl, “scontata” da 900mila a 700mila euro in nome di non si sa quali impegni assunti dall’azienda per il territorio.

La Cgil di Brindisi, insieme a tante associazioni ambientaliste e sociali, sostiene che un progetto così “temerario” castrerebbe qualsiasi possibilità di sviluppo sia della logistica portuale - il deposito sorgerebbe a ridosso dello scalo intermodale, importante infrastruttura ferroviaria in fase di realizzazione da oltre 100 milioni di euro, che porterebbe Brindisi a candidarsi come hub logistica del Mediterraneo - sia turistico. Soprattutto, sarebbe antitetico a qualsiasi ambiziosa idea di polifunzionalità portuale che leghi indissolubilmente rispetto per l’ambiente, lavoro di qualità e forti ricadute occupazionali.

Lo stesso progetto è stato bocciato dalla città di Napoli, e nessun altra città portuale si sta candidando per accoglierlo. Gli e le “ignoranti” si chiedono perché la capacità di stoccaggio del deposito, per il progetto brindisino, sia stata ridotta a 16.500 tonnellate, visto che al di sotto delle 20mila tonnellate non è imposta la valutazione di impatto ambientale. In più, nel progetto di Edison, rimane confermata la presenza in banchina di una torre di sfiato, in una area Sin con altri impianti ad elevato rischio di incidente rilevante, che sarebbe necessaria per smaltire del Bog (Boil off gas, la frazione di gnl che spontaneamente si trasforma da liquido a gassoso) non utilizzato e in emergenza anche il gnl. In torcia, insomma, verrebbero smaltiti tutta la miscela di Bog e azoto proveniente dalle operazioni di drenaggio e inertizzazione che accompagnano le operazioni di carico e scarico del gnl e verrebbero scaricate in atmosfera con emissioni gassose inquinanti e climalteranti. Tante criticità già sollevate dalla ex giunta comunale di centro sinistra, dalla Provincia e dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici.

Il domani si costruisce oggi. La Cgil crede fermamente che occorre guardare oltre i propri confini e il profitto di pochi e avere un’idea generale e ideale di futuro. Le tecnologie oggi lo consentono: dobbiamo, in piena emergenza climatica, fare tutti gli sforzi possibili per salvaguardare ambiente e salute, creando lavoro e sviluppo di qualità con la filiera delle rinnovabili.

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