“Dopo di che”. Un ricordo di Dalida Angelini - di Loretto Ricci

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Incontrai per la prima volta Dalida all’inizio degli anni 2000 nella sede della Cgil in via Pier Capponi a Firenze. L’occasione fu una riunione dei dirigenti della Filcams della Toscana, nella quale io ero da poco entrato come segretario della provincia di Arezzo, assieme ai dirigenti della confederazione, per discutere del terziario e della sua sorprendente espansione.

Era una riunione composta in stragrande maggioranza da uomini e da qualche compagna, fra le quali lei che si muoveva con abilità e sicurezza, creando qualche invidia da parte dei suoi compagni della costa e sospetto dei compagni fiorentini in ascesa. Nei corridoi veniva descritta come una sorta di predestinata nel salire le scale regionali della nostra organizzazione.

Anche io all’inizio la guardavo con questo pregiudizio. Poi ho avuto modo e la fortuna di conoscerla meglio nella Filcams, nella quale lei divenne presto segretaria generale. Mi apparve subito come un misto, positivo, di praticità femminile e saggezza organizzativa, aggiunti ad un atteggiamento di grande protezione verso le delegate e i delegati dei luoghi di lavoro. E lo stesso atteggiamento, di sostegno, lo teneva verso i segretari provinciali della categoria.

Aveva molta attenzione alla formazione e al lavoro di gruppo, così ci ha fatto fare a tutti lo stradello verso Firenze o la scuola sindacale dell’Impruneta, per andare a riunioni con noi segretari territoriali e per gruppi di lavoro, creando le condizioni per consolidare scambi di esperienze e anche forti legami di amicizie fra di noi, cosa non sempre scontata.

Successivamente ho potuto conoscerla ancora meglio, frequentandola nelle lunghissime e innumerevoli trattative dei rinnovi dei contratti nazionali della cooperazione, perché molto spesso per la Toscana eravamo presenti solo noi due, lei come segretaria e io in rappresentanza della minoranza congressuale. Così ho avuto modo di conoscere meglio la sua enorme curiosità e umanità, non solo nelle materie sindacali, ma per tutti gli accadimenti che accompagnano la vita di ognuno di noi tutti i giorni, tanto dal voler conoscere le ricette di mia nonna per fare le marmellate con i frutti selvatici.

Soprattutto era attratta dall’arte, e ogni volta che ci vedevamo mi chiedeva della mia ricerca nella scultura e a che cosa stavo lavorando. Poi, una volta, mi salutò orgogliosa dicendomi che si era iscritta ad un corso di disegno dal vero, e che l’insegnante la faceva allenare usando forzatamente la mano sinistra. Ovviamente la incoraggiai, dicendole che questo le sarebbe stato molto utile non solo nel disegno ma anche nella pratica politica e sindacale. Mi ricordo che si mise a ridere e mi disse che in molti altri, e più di lei, in Cgil avrebbero avuto bisogno di allenarsi meglio con la sinistra.

Devo dire che aveva ragione, perché quando facevamo le trattative in Unicoop Firenze lei difficilmente si faceva condizionare, diversamente da altri, dal fascino discreto ma invadente della grande coop toscana, che molto spesso nascondeva nei particolari meno evidenti il suo essere passata da cooperativa dei lavoratori ad azienda sul mercato, nella quale gli stessi lavoratori non erano più soggetti ma risorse, certo umane ma comunque considerandole nella lista delle cose.

Nelle trattative era tenace e gentile, puntava al dialogo e a trovare soluzioni condivise, ma sulle questioni di principio difficilmente mollava. E poi era capace. Quando si accorgeva di avere sbagliato, rivedeva le sue posizioni, cosa questa rara, senza mai farne una questione di carattere personale.

Come tutti noi, quelli che dalla produzione o servizi, da operai o bagnine come lei, siamo poi diventati dirigenti sindacali, ci portiamo dietro, strutturate, rigidità letterarie e lessicali alle quali proviamo a mettere pezze nel nostro linguaggio e comunicazione con intercalari o parole che ci danno sicurezza. Così Dalida usava spesso nel suo dire le parole “dopo di che”, questo per indicare un passaggio una svolta una prospettiva.

 

Ecco, cara Dalida, ora che non sei più fra noi quel “dopo di che” diviene, per me e per tutti noi, un interrogativo al quale dare una risposta umana e politica e, “dopo di che” non ti dimenticheremo, “dopo di che” continueremo a lottare per tutti i lavoratori e le lavoratrici anche pensando al tuo sorriso.

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