“Un’altra idea di Autonomia” - di Mattia Gambilonghi

Sul convegno del 29 gennaio scorso promosso da Fdv, Fond. Basso, Cgil Roma-Lazio, Iress Lazio, Università Roma Tre.

All’interno della vicenda della Cgil, “La città del lavoro” e “La libertà viene prima” costituiscono non solo il testamento politico di Bruno Trentin, ma rappresentano uno dei punti più alti dell’attività di ricerca e riflessione, volta a dotare il principale sindacato italiano di un profilo culturale e progettuale in grado di affrontare la stagione del post-fordismo, libero da rivendicazionismo ed economicismo.

Al loro interno viene delineato un progetto di sindacato attento alla dignità e al benessere del lavoratore in tutte le dimensioni: dall’elemento salariale/retributivo all’organizzazione del lavoro, dai poteri di co-determinazione alla formazione permanente, dalla contrattazione delle politiche industriali a quella delle politiche attive del lavoro. Un’idea di sindacato che, lungi dal concentrarsi sulla sola redistribuzione della ricchezza, fa della redistribuzione del potere decisionale e della responsabilità in azienda una precondizione della prima.

La “libertà” è la vera “posta in gioco del conflitto sociale” perché, senza il pieno riconoscimento di quest’ultima nel quadro delle relazioni industriali, non si può nemmeno aspirare a condizioni economiche e retributive dignitose. Quella invocata da Trentin non è una mera concezione formale della libertà, caratterizzandosi al contrario come profondamente sostanziale: una “libertà di”, una capacità di autogoverno che trova la sua essenza nella deliberazione collettiva delle proprie condizioni di vita e di lavoro.

La proposta dell’ultimo Trentin è il frutto di un confronto tragico e appassionato con la storia e la tradizione del movimento operaio ottocentesco e novecentesco. Un autentico corpo a corpo teorico, adottando come discrimine principale l’affermazione della persona, della sua dignità, della sua libertà, dentro al processo lavorativo, contro tutte le eteronomie alienanti e spersonalizzanti.

La predilezione per quella componente del movimento operaio che ha rifiutato di fare dello Stato l’unico “luogo della politica”, negando che la sua conquista fosse l’elemento preliminare per qualsiasi trasformazione dei rapporti sociali, produttivi e lavorativi, si palesa in Trentin per diverse ragioni e sotto l’influenza di diversi fattori: dal federalismo del padre Silvio, alla giovanile militanza azionista; dal contatto quotidiano con gli “irregolari della Cgil” (Di Vittorio e Foa su tutti); dal rapporto – sempre disorganico e libero – con quella componente del Pci criticamente attenta verso le novità del neocapitalismo, coagulatasi attorno alla figura di Pietro Ingrao, ad un rapporto costante di scambio con gli ambienti della “deuxieme gauche” francese (Gorz, Rocard, Delors, Rosanvallon e la Cfdt).

È a partire dal contatto e dal confronto con questo caleidoscopio politico-culturale che si può spiegare il carattere originale, eterodosso e sincretistico della sua elaborazione più matura, irrequieta e insoddisfatta verso le tradizioni maggioritarie della sinistra e del movimento operaio.

Senza pretese di esaustività ed assumendo come punto di vista privilegiato quello delle diverse declinazioni dei concetti di “autonomia, autogoverno, democrazia”, il convegno si è proposto di toccare e approfondire alcune delle principali fonti di ispirazione del bagaglio culturale trentiniano, e quelle componenti e correnti con cui Trentin ha inteso confrontarsi: ad esempio, la complessa e variegata eredità dei “Quaderni rossi” e della tradizione operaista, o organizzazioni e gruppi come Il Manifesto/Pdup.

I lavori sono stati suddivisi in quattro sessioni. Una prima sessione è stata dedicata al periodo tra le due guerre, con relazioni di Edmondo Montali (Fdv), Leonardo Casalino (Université de Grenoble) e Francesca Tortorella (Université Catholique de Lille) e l’introduzione di Paolo Carusi (Università Roma Tre). Sono stati affrontati sia i dibattiti collegati agli esperimenti consiliaristi (si pensi a Torino e all’elaborazione in seno all’ “Ordine nuovo”), ma anche la riflessione che alcune originali componenti dell’antifascismo italiano (a partire da Giustizia e Libertà, ma anche gruppi come Libérer et fédérer) conducono intorno ai caratteri della rivoluzione democratica con cui abbattere il fascismo, e sui lineamenti dell’Italia che ne seguirà.

Tra i comuni denominatori di queste componenti innovatrici ed eretiche vi sono il rigetto del centralismo ereditato dalla stagione unitaria e l’attenzione al tema delle autonomie, dell’autogoverno e delle loro possibili forme istituzionali. Riflessioni che vivranno temporaneamente nell’esperienza dei Cln e dei Consigli di Gestione, e il cui nocciolo teorico verrà ripreso (con una propria specificità) nel contributo di Lelio Basso ai lavori della Costituente. Non va tra l’altro dimenticata l’influenza dell’approccio di Basso su una parte consistente della sinistra sindacale di derivazione socialista (Giovannini, Lettieri, Foa).

L’elaborazione e la peculiarità di personaggi come Basso e Foa, così come il rapporto tra questa “sinistra sindacale” e una rivista come i “Quaderni rossi”, sono state analizzate nel corso della seconda sessione da Giancarlo Monina (Università Roma Tre e Fondazione Basso), Andrea Ricciardi (Fondazione Ernesto Rossi-Gaetano Salvemini) e Maria Grazia Meriggi (Università di Bergamo e fondatrice SisLav). Il coordinamento e l’inquadramento storico della sessione, incentrata sugli anni ‘50 e ‘60 e su quella vera e propria riscossa che il movimento sindacale conosce a seguito degli anni duri dello scelbismo e dell’autoritarismo padronale in fabbrica, è stato svolto da Maria Paola Del Rossi (Università della Tuscia).

La terza sessione – moderata da Salvo Leonardi (Fdv), che nell’introduzione ha voluto sottolineare l’estrema rilevanza di questa stagione per un’evoluzione in senso democratico, partecipativo e socialista delle relazioni industriali italiane – si è invece concentrata sugli ‘70 e ‘80, l’arco cronologico entro cui – stando alle “formule” trentiniane – si realizza il passaggio dalla stagione del “sindacato dei consigli”, che ha nel 1969 il proprio momento generativo, alla strategia volta a delineare un inedito “sindacato dei diritti”, concepito da Trentin come un’innovazione indispensabile per continuare a perseguire la liberazione del lavoro in un passaggio d’epoca cruciale, la transizione al post-fordismo. Un passaggio ricostruito da Andrea Ranieri (Fdv), che di Trentin è stato a lungo compagno e collaboratore.

Considerando insieme sia questa che la seconda sessione, diviene evidente come le idee di autonomia e autogoverno attraversino, quasi come un fiume carsico, i primi 15 anni della Repubblica, riemergendo in superficie negli anni ‘60 a partire dal dibattito che si apre sulle caratteristiche e sulle tendenze del capitalismo italiano. Bruno Trentin e Vittorio Foa sono i principali eredi di quella tradizione, e tentano di innovarla alla luce delle novità e delle trasformazioni tecniche, economiche e produttive palesatesi nel frattempo.

Ricostruendo quindi le origini più lontane della riflessione su autonomia, autogoverno e democrazia radicale e la novità e centralità di queste tematiche nell’esperienza consiliare e partecipativa degli anni ’60 e ‘70, diventa possibile prendere coscienza di una precisa anima e “cultura” della Cgil, valutandone i punti di forza e riflettendo sui possibili meccanismi di attualizzazione. Un’esigenza resa più che mai urgente sia dalla torsione tecnocratica e post-democratica conosciuta negli ultimi quarant’anni dai sistemi politici occidentali, sia dalla declinazione egoistica e localistica che è stata data dell’idea di autonomia, che ispira uno dei principali aspetti di quel disegno di stravolgimento della Carta fondamentale portato avanti dall’attuale esecutivo.

Per riflettere su ragioni, spazi e ruoli di questa visione alternativa e progressista dell’autonomia e dell’autogoverno, la quarta sessione, introdotta e coordinata Laura Rossi, responsabile della Flc Cgil all’Università Roma Tre, ha richiamato l’elaborazione di due figure fondamentali della storia recente della Cgil: Claudio Sabattini e Riccardo Terzi, che, seppur con ruoli e prospettive diverse, hanno caratterizzato la loro azione nel senso di uno sperimentalismo volto a confrontare le parole d’ordine al centro del convegno con le sfide e i dilemmi posti dalla globalizzazione, dal post-fordismo e dal ciclo neoliberale.

Il profilo di questi due dirigenti sindacali è stato restituito da Gabriele Polo (Fondazione Sabattini) e Mario Sai (responsabile del gruppo di lavoro Fdv - Cdlm di Milano che cura e diffonde la memoria di Terzi). La stagione dei consigli non si è però limitata solo alla fabbrica e al sindacato, ma si estesa al resto della società e delle sue istituzioni (consigli scolastici, di quartiere, e così via), comprendendo anche l’esperienza sul territorio dei Consigli di zona.

Visto dunque lo stretto legame che nella tradizione della Cgil postbellica e nell’elaborazione di Trentin viene a stabilirsi tra il nodo dell’autogoverno del lavoro e quello della conoscenza e dei saperi, ad essere ricostruita è stata anche (Eugenio Ghignoni, Iress Lazio) la politica della Cgil in materia di organismi democratici e di rappresentanza nelle istituzioni scolastiche.

Il convegno è stato chiuso da un intervento di Maurizio Landini, incentrato sulle linee di continuità che dal sindacato dei consigli conducono al “sindacato di strada” e al suo progetto democratico di riforma e rilancio della rappresentanza. Nel momento difficile attraversato dal Paese, provvedimenti come quelli su autonomia differenziata, riforma fiscale e premierato rischiano di indebolirne la tenuta democratica. La Cgil vuole battersi, invece, per un rafforzamento della democrazia secondo i valori costituzionali, costruendo sulla partecipazione e sulle organizzazioni dal basso della società un nuovo rapporto tra governanti e governati, mettendo al centro dell’agenda politica i problemi più urgenti: occupazione, salario, sanità, sicurezza sul lavoro.

 

 
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