Nuova mobilità sostenibile: ma fino a che punto? - di Marco Prina

Il 25 e 26 gennaio scorsi si è svolta presso la Camera del Lavoro di Torino la terza edizione del confronto fra associazioni ambientaliste e Cgil, promossa dal tavolo Alleanza Clima Lavoro che vede coinvolti Cgil Piemonte, Fiom Cgil, Filt Cgil, Flai Cgil, Sbilanciamoci, Legambiente, Kyoto Club, Greenpeace, Wwf, Transport & Environment, Motus E. La finalità è di favorire l’incontro fra le istanze del mondo del lavoro e quelle dell’ambientalismo, per orientare insieme le scelte dei nostri governi su un reale New Green Deal che non sia generatore di nuove emarginazioni e povertà sociali. Preoccupazione ben espressa negli interventi dei segretari generali della Fiom, Michele De Palma, e della Flai, Giovanni Mininni.

Per la nostra industria dell’automotive esiste il rischio di finire in fondo alla filiera della autovettura elettrica, ricoprendo un ruolo ancillare di rottamatori dell’usato elettrico. Così come dalla crisi alimentare causata dai cambiamenti climatici, e dallo sfruttamento intensivo dei suoli da parte delle multinazionali alimentari, nascono nuove povertà, da contrastare con una transizione sostenibile e giusta, unendo la protezione delle biodiversità ai diritti del lavoro. Tutte cose che i governi non stanno curando.

La risposta di molti relatori ambientalisti è stata quella di creare una decarbonizzazione sostenibile con i diritti del lavoro, di genere e dei popoli, rinunciando all’idea del ‘900 delle grandi produzioni di massa di autovetture private. Il cambio di paradigma nei trasporti sta nel passaggio dal consumo individuale a quello collettivo. Oggi gli alti costi dell’auto elettrica la rendono accessibile a pochi, così come le sue performance ridotte spingono verso un suo uso pubblico: dallo sharing al trasporto collettivo su ferro e gomma.

Su questi aspetti in Italia vi è un deficit di pianificazione a tutti i livelli, con carenze di investimenti che il Pnrr ha circoscritto ad un sostanziale antipasto. Il nuovo modello comporterebbe che una fabbrica come Mirafiori non rinasca sulla riproposizione utopica di produzioni “nazionali” di autovetture da uno o due milioni di unità all’anno.

Ben vengano le gigafactory (per l’Italia il piano Ue ne riserva poche, a favore di altri Stati dell’Unione), ma anche la futura grande industria del recupero dell’usato elettrico, che comporterà nuove professionalità di livello e con un notevole impegno occupazionale, secondo Silvia Bodoardo del Politecnico di Torino.

Però la nuova occupazione si gioca in concorrenza con l’offerta di manodopera a più basso costo dei paesi dell’est Europa e dell’Asia. Da sempre il gran capitale vorace è alla ricerca di lavoro a basso prezzo. Su questo vi è un’assenza politica degli Stati in Occidente, così come vi è un ritardo crescente di Europa e Usa rispetto alla Cina sul fronte delle energie rinnovabili (il “dragone” ha l’80% della produzione mondiale di fotovoltaico, grazie allo sfruttamento etnico di uiguri e kazaki), della ricerca, sviluppo e applicazione delle nuove produzioni di mobilità elettrica. Non è casuale - come hanno sottolineato alcuni relatori - che in Occidente (ma non solo, pensiamo a Russia e India) si ritorni a investire sul nucleare e sulla mobilità endotermica/ibrida con gas naturali e fossili. “Necessità” sostenuta notoriamente da Eni, ma nelle due giornate ripresa negli interventi istituzionali del ministro Pichetto Fratin e del presidente piemontese Cirio, ed anche da parte sindacale dal segretario della Filctem, Ilvo Sorrentino.

A questa “contraddizione in seno al popolo” aggiungiamo l’idrogeno come grande assente dal confronto torinese. Derubricato a fonte alternativa costosa e poco performativa, lascia un vuoto di alternativa energetica nei grandi trasporti (soprattutto di merci) su nave, aereo, gomma. Di qui la scelta di molti governi dei cinque continenti di rilancio dell’energia nucleare (Francia), di sfruttamento dei gas naturali (Germania, Italia), di mantenimento degli idrocarburi e del carbone (Russia, Cina), puntando a progetti tampone di captazione della Co2 nell’aria.

La bandiera delle rinnovabili è rimasta solo agli ambientalisti che in questa due giorni, con Mariagrazia Midulla del Wwf, hanno accarezzato l’idea di un’“alleanza fra produttori” della Green Economy e l’associazionismo diffuso.

Forse consapevole delle contraddizioni irrisolte, il patron del convegno, Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte, ha concluso invocando un cambio del format per le prossime edizioni, restituendo il microfono alla platea…

 

Primi passi di una Rivoluzione culturale? Da vecchi basisti ce lo auguriamo.

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