Diamogli un nome: omicidi sul lavoro - di Giacinto Botti

Abbiamo il dovere di ricordare le donne e gli uomini che perdono la vita sul lavoro. E, come sindacalisti, delegati della Cgil, di fare tutto il possibile per fermare l’ignobile, ingiustificata e criminale strage che dura da decenni: un elenco lunghissimo di persone, affetti, padri, madri, figlie, figli, fratelli, sorelle che perdono la vita per quel lavoro sancito come diritto costituzionale, valore di crescita e di emancipazione, che diviene invece causa di dolore e di morte.

Si parla ipocritamente di “morti bianche”, rimuovendo le responsabilità di imprese e politica. Si parla di fatalità, o peggio di disattenzione del lavoratore, per coprire la vera natura di oltre mille morti l’anno, secondo i dati ufficiali, sottostimati. Basta commemorazioni, frasi fatte e lacrime di coccodrillo. Non è più tempo.

In questo paese, dove la legge non è uguale per tutti, le morti sul lavoro non trovano mai giustizia. Tra le leggi di iniziativa popolare che la Cgil sta discutendo di lanciare, dovremmo anche raccogliere le firme per una legge contro l’omicidio sul lavoro.

Se un datore di lavoro non rispetta le leggi, la sicurezza, manomette gli strumenti dei macchinari, com’è successo alla giovane Luana, apprendista di 22 anni stritolata nel 2021 da un orditoio a cui erano state tolte le cellule di sicurezza per aumentare la produzione, non definiamoli imprenditori. Sono responsabili, per avidità, dell’omicidio di una giovane donna, mentre la famiglia attende invano giustizia.

L’ennesima strage di cinque operai nel cantiere di Esselunga a Firenze, un italiano, un tunisino e tre marocchini, uno dei quali senza permesso di soggiorno – “quelli che ci invadono e rubano il lavoro” - sarà presto dimenticata dai media. Il giorno dopo la strage operaia un altro operaio di 54 anni, originario dell’Albania, è morto nel cosentino, schiacciato da una lastra di cemento.

Esselunga, in quanto committente, ha la responsabilità in solido e penale di quanto accaduto nel cantiere di Firenze. Dovrebbe fare un nuovo spot meno familista e più crudo: una bambina che torna a casa e non trova la madre o il padre a cui portare la mela comperata all'Esselunga.

Purtroppo i morti saranno presto dimenticati dal governo, dai partiti e dai politici che versano insopportabili lacrime di coccodrillo, nascondendo le loro precise responsabilità sulle leggi di questi decenni contro il lavoro e i diritti, a partire dall’abolizione dell’articolo 18 e da politiche di disconoscimento delle rappresentanze sociali, sino all’assenza di controlli nei luoghi di lavoro per la mancanza di ispettori. Al centro della loro azione c’è il profitto, la politica liberista che vuole un mercato libero da ogni condizionamento sociale. Il padronato italiano, in assordante silenzio, è direttamente responsabile di questa strage continua, come i governi, i partiti e le associazioni padronali sostenitori di un sistema produttivo, di un mercato del lavoro e di leggi che hanno svalorizzato e precarizzato il lavoro.

“Lasciar fare a chi sa fare”, l’ideologia della destra e della presidente del Consiglio si traduce in libertà di ricorrere al massimo ribasso, ai subappalti a cascata, a fare profitti sulla pelle delle persone, ad evadere impunemente le leggi su prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Non fermeremo la strage se non cambieremo il sistema produttivo e industriale, se non si faranno leggi severe e non si aumenteranno i controlli, con un adeguato numero di ispettori del lavoro, se non diffonderemo la cultura della prevenzione e sicurezza sul lavoro che si traduce in salute generale e ambientale.

 

 
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