Ventimila piccoli indiani - di Frida Nacinovich

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dodicimila, il doppio nella realtà. Sono Sikh, gente guerriera, costretta dalla povertà ad attraversare gli oceani. Quelli arrivati in Italia sono in gran parte qui, nell’Agro Pontino, a poca distanza dalla Roma dei papi e del potere italiano. Cieco, quest’ultimo, di fronte alla sfruttamento che va in scena ogni giorno nelle campagne del basso Lazio. “Lavorano anche dodici ore di fila, sotto il sole, per quattro euro al giorno nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, a volte mai erogati - racconta Stefano Morea della Flai Cgil - raccolgono zucchine, pomodori e altri tipi di ortaggi, accudiscono animali d’allevamento, e altro ancora”. Gente che non si tira indietro quando c’è da fare.

Braccianti. Un esercito finito sulle pagine dei giornali quando uscì la notizia che i ritmi forsennati di lavoro portavano gli immigrati ad aiutarsi con sostanze stupefacenti, eccitanti anti-stanchezza forniti loro dai padroni. Un degradante malaffare, più che la pozione magica che il druido Panoramix prepara per il villaggio di Asterix il gallico. “Bisogna tener conto che sono molto religiosi – spiega Morea - e il loro credo vieta droghe e alcol”. Ma bisognerebbe vedere con i propri occhi dove vivono, o meglio sopravvivono, per capire la facilità con cui droghe e alcol possono entrare. Per ospitare migliaia e migliaia di persone, gli imprenditori agricoli italiani del 2015 si comportano come i baroni latifondisti siciliani di inizio novecento. Baracche fatiscenti, sgangherate, spesso prive di servizi, dove questi ragazzi sono costretti a dormire ammassati come bestie. Case “in affitto”, la cui pigione viene detratta da quella sorta di stipendio che arriva e non arriva.

La richiesta di forza lavoro da impiegare nei campi ha incentivato la migrazione, e convinto molti Sikh a stabilizzarsi nelle provincia di Latina. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione. Da quando sono state allestite le grandi serre per coltivare anche nella stagione fredda, si lavora tutto l’anno. “La comunità sikh è numerosa e anche strutturata - ricorda Morea - una volta li distinguevi fra gli altri braccianti, usavano le biciclette per spostarsi e facevano, per così dire, colore. Oggi sono la maggioranza. Nonostante le condizioni di vita e di lavoro, il bisogno ha spinto tanti altri connazionali ad approdare nell’Agro Pontino”.

Allo sportello della Flai Cgil di Borgo Hermada, il numero di Sikh che vanno a chiedere informazioni e tutele è in costante aumento. “Si tratta di richieste pratiche - puntualizza con orgoglio professionale Stefano Morea - ad esempio ottenere che siano pagate quattro settimane di lavoro anziché tre come spesso accade. Oppure ci chiedono che l’orario scritto in busta paga sia quello effettivo. O ancora ci arrivano domande di aiuto per i tanti problemi burocratici legati ai permessi di soggiorno”. Quella sikh è una popolazione stanziale, che non insegue il lavoro da una regione all’altra ma che si stabilisce su un territorio e cerca di migliorare le proprie condizioni di vita. “La Flai Cgil conta su un mediatore culturale indiano per facilitare i primi approcci con i lavoratori. Il sindacato è stato invitato all’inaugurazione del tempio allestito a Borgo Hermada, quasi inutile dire che ci siamo andati con gran soddisfazione”.

Non è facile per la Flai entrare in quell’alveare di aziende che punteggiano l’Agro Pontino. “Il lavoro quando va bene è grigio - certifica Morea - serve solo per fare avere ai braccianti il permesso di soggiorno, mentre paghe, tutele e diritti vanno quasi sempre a farsi benedire. Nella peggiore delle ipotesi lavorano al nero, con tutto quel che ne consegue in termini di ricattabilità”. Negli ultimi tempi si è affacciato anche un nuovo fenomeno, quello del caporalato etnico: sono gli stessi connazionali dei sikh ad assoldare braccianti e favorirne l’arrivo dall’Asia, in cambio di denari e piccoli privilegi da parte del padrone di turno, italiano.

Agli sforzi del sindacato, si aggiungono quelli degli enti bilaterali per registrare e limitare malattie e infortuni sul lavoro. “I giubbotti catarifrangenti sono stati una vera e propria conquista”, esemplifica Morea. Non di rado succedeva che i Sikh fossero investiti da auto e camion mentre si spostavano in bici per andare e tornare da lavoro. Ma la strada per i diritti è ancora lunga: c’è da combattere la piaga del caporalato, da convincere i padroni a regolarizzare i rapporti con i lavoratori, da organizzare abitazioni meno indecenti di quelle che adesso ospitano il fiero popolo del Punjab.

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