In lotta per il giusto clima - di Simona Fabiani

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La conferenza Onu di Marrakech si avvicina, ma la giustizia climatica resta lontana.

Dal 7 al 18 novembre prossimi si terrà a Marrakech la 22/a conferenza sul clima delle Nazioni Unite. La Cgil ha espresso un giudizio sostanzialmente negativo sull’accordo di Parigi dello scorso anno. Abbiamo contestato la sua mancanza di ambizione; l’inadeguatezza degli impegni volontari degli stati che porteranno forse ad un aumento di oltre 3 gradi della temperatura invece di raggiungere l’obiettivo di non superare 1,5 gradi di incremento; la volontarietà degli impegni e la mancanza di sanzioni; il fatto che l’accordo entri in vigore solo nel 2020; gli scarsi impegni finanziari per il fondo verde per il clima, per il fondo danni e perdite, per il trasferimento tecnologico ai paesi più poveri e più colpiti dagli effetti devastanti dei cambiamenti climatici.

Riteniamo altrettanto grave l’esclusione dal testo dell’accordo del rispetto dei diritti umani, relegati nel preambolo e sottoposti alle rispettive obbligazioni dei singoli governi, così come la giusta transizione dei lavoratori.
Il movimento sindacale internazionale chiede ai leader globali presenti alla conferenza di Marrakech di aumentare l’ambizione e realizzare tutto il potenziale di creazione di posti di lavoro legati alla transizione verso un’economia a zero emissioni di carbonio; di rendere effettivi gli impegni finanziari per il clima; di sostenere i più vulnerabili, e di impegnarsi per garantire la giusta transizione per i lavoratori e le loro comunità.

Purtroppo c’è una scarsa attenzione da parte dei media e dei governi verso la Cop di Marrakech. Questa colpevole disattenzione non è ammissibile, considerando che la conferenza si svolge in Africa, uno dei continenti più colpiti dai cambiamenti climatici. Un continente che ha subito, e subisce, gli effetti drammatici del colonialismo e del neoliberismo, che non ha responsabilità sui cambiamenti climatici, con uno dei più bassi rapporti pro-capite in termini di emissioni di Co2, e che paga uno dei prezzi più alti in termini di vite umane e di migrazioni climatiche.

La lotta per la giustizia climatica significa innanzitutto impegno per la transizione a un modello di sviluppo alternativo e sostenibile che garantisca sovranità alimentare, accesso all’acqua e all’energia per tutti, diritto alla terra, tutela dei beni comuni, autodeterminazione dei popoli, piena occupazione e lavoro dignitoso, difesa dei diritti dei migranti, equa ripartizione delle risorse del pianeta.

La transizione energetica avrà un ruolo determinante nel processo di decarbonizzazione dell’economia. Molti lavoratori occupati nei settori delle energie fossili perderanno il posto di lavoro, ma il numero di nuovi posti di lavoro, in un sistema energetico al 100% da rinnovabili e efficienza energetica, democratico e distribuito, sarà più alto di quelli che andranno persi. Dobbiamo però garantire che nessun lavoratore, con le proprie famiglie e le comunità, debba pagare il costo della transizione. Per questo è essenziale definire, in seno alle conferenze sul clima, impegni e risorse finanziarie certe per la giusta transizione, intesa come creazione di nuovi posti di lavoro sostenibile, riqualificazione e formazione professionale, rispetto dei diritti del lavoro, partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali.

La Cgil, con la Ces, sta chiedendo all’Unione europea di destinare una quota consistente delle risorse derivanti dalle aste del Sistema europeo di scambio di quote di emissione di carbonio per finanziare la giusta transizione dei lavoratori.

Il nostro governo non è un buon esempio in materia di impegni sul clima. L’Italia ha ratificato solo da pochi giorni l’accordo di Parigi. Nel decreto di ratifica non si fa nessun cenno a come si intenda onorare gli impegni di riduzione delle emissioni, per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di non superare 1,5 gradi in più.

L’Italia non ha un piano per la decarbonizzazione nè per la giusta transizione. La strategia energetica nazionale è ancora legata all’uso delle fonti fossili e ad una lunga transizione basata sul gas. Nonostante le ripetute richieste al ministro dell’Ambiente di questo governo, non c’è un tavolo di confronto fra governo e sindacati su queste materie.

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