Il dialogo possibile - di Riccardo Troisi e Alberto Castagnola

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I movimenti popolari e Papa Francesco.

All’inizio di novembre, 180 rappresentanti dei movimenti popolari provenienti da 60 paesi diversi hanno partecipato alla loro terza assemblea internazionale, ospiti della Santa Sede in Vaticano. Per tre giorni, raccolti intorno a dei tavoli tematici, hanno confrontato le loro storie e le loro posizioni verso i più gravi problemi del nostro tempo: dalle disuguaglianze alla fame, dalla crisi climatica planetaria ai movimenti migratori intercontinentali, dalle guerre in fase di moltiplicazione alle tante forme di violenza, fino alle marginalità urbane fuori controllo. Le parole chiave di questo confronto sono state: “Lavoro”, “Abitare” e “Terra”.

Al termine dei lavori, in un affollatissima sala Nervi, i rappresentanti dei movimenti sociali hanno presentato e denunciato alcune situazioni dolorose e drammatiche che stanno vivendo milioni di persone su questa terra, ed hanno ascoltato le parole di Papa Francesco, il cui impegno verso le popolazioni in maggiori difficoltà è sempre più dichiarato. I maggiori applausi sono andati ai rappresentanti dei quattro milioni di persone che vivono raccogliendo e trasformando i rifiuti dei grandi centri urbani dell’America Latina, e ai delegati del popolo curdo, la cui patria è divisa tra cinque stati e che oggi sono in prima fila contro gli estremisti islamici del califfato.

Ogni intervento ha suscitato il sostegno più intenso dei presenti. Ma è dalle parole del Papa che sono scaturite le analisi più convincenti e ispirate: “Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore, quanta paura! C’è – l’ho detto di recente - un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Nessun popolo, nessuna religione è terrorista. E’ vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte, anche nella chiesa. Ma il terrorismo inizia ‘quando hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro’. Tale sistema è terrorista”. Difficile trovare nei testi dei precedenti pontefici una denuncia così esplicita dei danni causati dai meccanismi finanziari e dalle politiche economiche del debito e dell’austerità in tanti paesi.

E ancora, nelle successive pagine del discorso che ogni partecipante aveva nelle sue mani, e che porterà con sé nel paese dove vive e lotta: “La paura viene alimentata, manipolata…perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli. Quando sentiamo che si festeggia la morte di un giovane che forse ha sbagliato strada, quando vediamo che si diffonde la xenofobia, quando constatiamo che guadagnano terreno le proposte intolleranti, dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura”.

Poi c’è un altro messaggio, non fonte di conforto ma di incoraggiamento per tante situazioni di lotta contro le ingiustizie, che nessuno dovrà dimenticare: “Guarì la mano atrofizzata di un uomo. La mano, questo segno tanto forte dell’operare, del lavoro. Gesù restituì a quell’uomo la capacità d lavorare, e con quella gli restituì la dignità. Quante mani atrofizzate, quante persone private della dignità del lavoro! Perché gli ipocriti, per difendere sistemi ingiusti, si oppongono a che siano guariti. A volte penso che quando voi, i poveri organizzati, vi inventate il vostro lavoro, creando una cooperativa, recuperando una fabbrica fallita, riciclando gli scarti della società dei consumi, affrontando l’inclemenza del tempo per vendere in una piazza, rivendicando un pezzetto di terra da coltivare per nutrire chi ha fame, state imitando Gesù, perché cercate di risanare, anche se solo un pochino, anche se precariamente, questa atrofia del sistema socio-economico imperante che è la disoccupazione. Non mi stupisce che anche voi siate a volte sorvegliati o perseguitati, né mi stupisce che ai superbi non interessi quello che voi dite”.

C’è da sperare che la veste di una religione non impedisca a tutti i movimenti e le organizzazioni sociali di cogliere la portata della denuncia e del sostegno contenuta in queste parole. Potremmo anche sperare che queste fondamentali indicazioni, eminentemente “politiche”, lasceranno una traccia nei territori e nei popoli più tormentati, e che susciteranno gli echi più importanti presso i centri di potere che gestiscono il mondo.
Le parole del Papa hanno subito suscitato un’eco autorevole nell’intervista data negli stessi giorni dal capo storico dei Sem Terra brasiliani, Joao Stèdile: “Papa Francesco ha offerto un importante contributo in relazione al tema del fallimento dello stato borghese, soffermandosi su un aspetto che pochi governanti e leader mondiali hanno il coraggio di toccare: quello del terrorismo di stato. Nel suo discorso, il Papa ha denunciato il terrorismo del sistema capitalistico, responsabile dell’esclusione di milioni e milioni di persone, ma si è anche richiamato all’esistenza di un terrorismo di stato, pur non utilizzando esplicitamente questa espressione: la presenza cioè di un terrorismo che non utilizza necessariamente le armi per controllare le persone, ma fa ricorso alla paura attraverso la manipolazione dei mezzi di comunicazione, della televisione e di internet, con cui gli Stati suscitano nella popolazione la paura del cambiamento, la paura di lottare per i propri diritti”. E ancora: “Mi è sembrata molto importante anche la sua riflessione sulla natura delle corruzione, come parte del sistema politico capitalista: il Papa ha affermato che non è solo il sistema politico ad essere corrotto, ma anche le istituzioni in generale e persino la Chiesa e i movimenti popolari”.

Questa lettura delle parole del Papa può correre il rischio di un travisamento solo per chi non vuole rendersi conto della gravità storica della sostanziale inerzia dei paesi europei di fronte ad una emigrazione di massa sospinta dal terrore e dalla violenza, della portata di quanto sta accadendo in Siria e in Turchia, e delle fosche previsioni che suscitano le parole del nuovo presidente degli Stati Uniti, specie nei confronti degli immigrati che già vivono nel paese e della lotta al cambiamento climatico.

Per questo il dialogo tra i movimenti popolari e Papa Francesco può esser considerato uno dei “ponti” verso la strada del cambiamento sociale che vogliamo, un mondo dove siano messe al bando le forme di ingiustizia e marginalità dei tanti sud del mondo, e siano promosse pratiche di giustizia sociale, ambientale ed economica capaci di dare un futuro alla nostra terra e alla nostra società.

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