Clima: il mondo non può più aspettare - di Simona Fabiani

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Si è conclusa il 18 novembre la 22/a Conferenza delle Parti (Cop) sui cambiamenti climatici, la prima dopo l’Accordo sul clima di Parigi. Come prevedibile, è stata una conferenza molto tecnica, incentrata sui meccanismi procedurali. I lavori sono stati condizionati a distanza dal neo eletto presidente Trump, le cui posizioni negazioniste potrebbero far uscire gli Stati Uniti dalla Conferenza e mettere a repentaglio l’accordo globale sul clima.
Per opporsi a questo scenario, i governi si sono prodigati in proclamazioni e nella riaffermazione degli impegni di Parigi, ma non hanno assunto alcuna azione concreta per avviare la lotta ai cambiamenti climatici, deludendo le speranze e le aspettative della società civile.

La conferenza si è conclusa senza rivedere il livello di ambizione degli impegni nazionali volontari per contenere la temperatura globale entro 1,5 gradi (gli impegni attuali portano su una traiettoria di incremento di oltre 3 gradi). Non sono state prese decisioni sul Fondo di adattamento, e il Fondo verde per il clima non ha ancora le risorse che i governi si erano impegnati a versare. Sulla gestione dei fondi è essenziale creare meccanismi trasparenti di controllo e rendicontazione sociale. Almeno il 50% delle risorse vanno destinate a progetti focalizzati al rispetto per le comunità e gli ecosistemi.

Altrettanto importante è disinnescare la logica della monetizzazione delle emissioni e i meccanismi di compensazione che, utilizzando foreste e agricoltura intensiva come compensazioni per le emissioni di Co2, mettono a repentaglio la sovranità alimentare e gli ecosistemi. Ulteriori rinvii anche per il fondo “Danni e perdite” da destinare ai paesi più colpiti dai devastanti effetti dei cambiamenti climatici.

Dal punto di vista del ministro Galletti, incontrato a Marrakech, l’Accordo sul clima di Parigi è come una legge delega e i prossimi quattro anni serviranno per scrivere i decreti attuativi, non per agire. Intanto, in assenza di un accordo vincolante, ognuno fa quello che vuole. L’Italia, ad esempio, autorizza nuove concessioni per l’estrazione di energie fossili in terra e in mare, investe in grandi infrastrutture stradali e aeroportuali, e porta avanti una politica di gestione dei rifiuti incentrata sugli inceneritori. Negli Stati Uniti, ancora di Barack Obama, la polizia da mesi reprime con violenza la pacifica protesta dei nativi americani che a Standing Rock si oppongono alla costruzione di un oleodotto di quasi duemila chilometri che dovrebbe portare più di 450mila barili di greggio al giorno dal Nord Dakota all’Illinois.

Ma c’è anche chi, come i 47 paesi riuniti nel Climate Vulnerable Forum, assume l’impegno di raggiungere il 100% di rinnovabili al 2050. Il Forum riunisce paesi in via di sviluppo e particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici, ed è un consorzio internazionale di cooperazione Sud-Sud per affrontare la questione clima.

Purtroppo le iniziative, pure lodevoli, di pochi non sono sufficienti. Lo riafferma la dichiarazione dell’assemblea dello spazio autogestito organizzato dalla Coalizione marocchina per la giustizia climatica, parallelo alla Cop22: “Il mondo non può più aspettare. Ovunque le disuguaglianze sono in aumento, i diritti si stanno riducendo, conflitti e guerre si moltiplicano. La nostra gente è oppressa e la biodiversità si sta estinguendo. Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono particolarmente evidenti in Africa e nei paesi del sud del mondo. Le temperature record, raggiunte durante tutto il 2016, e un susseguirsi di cicloni, uragani, inondazioni, incendi boschivi e siccità ci ricordano che il cambiamento climatico è una realtà che colpisce già centinaia di milioni di persone in mezzo a noi, in particolare i migranti forzati dalle loro terre, verso il mare, con il rischio di morte... Contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi comporta lasciare sotto terra i combustibili fossili... Chiediamo ai leader mondiali in tutto il mondo di congelare lo sviluppo di nuovi progetti di combustibili fossili e di impegnarsi per una giusta transizione verso un futuro 100% da fonti rinnovabili e democratico. L’industria dei combustibili fossili sta combattendo per sopravvivere, e di conseguenza sappiamo che dobbiamo mobilitarci ovunque sia necessario per bloccare progetti distruttivi per l’ambiente. Dobbiamo anche combattere per non essere espropriati delle alternative: stiamo lavorando per una trasformazione sociale, ecologica, femminista e democratica al fine di costruire i posti di lavoro di domani... Il nostro futuro non dipende da una mano invisibile, ma dalla forza delle persone in tutto il mondo”.

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