La manovra di bilancio non parla al mondo del lavoro - di Alfonso Gianni

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La parola lavoro ricorre più volte nelle striminzite dichiarazioni programmatiche con cui il neo governo Gentiloni - o Renziloni, visto che è quasi una fotocopia del precedente – ha ottenuto la fiducia di un parlamento già delegittimato dalla Consulta, per vizi di incostituzionalità del porcellum. Ma si capisce subito che si tratta di vuota retorica. In primo luogo perché bisogna augurarsi che la durata di questo governo sia breve.

Sul punto Gentiloni se l’è cavata con una ovvietà lapalissiana: “Il governo dura fin quando ha la fiducia del Parlamento”. Ed è vero che Mattarella non ha indicato finalità specifiche a questo governo, venendo meno a quello che era necessario fare. Infatti, dopo che il referendum del 4 dicembre bocciando la deforma costituzionale ha di fatto liquidato l’italicum - in attesa peraltro della sentenza della Corte Costituzionale in udienza il 24 gennaio – la vita della legislatura e quindi del governo Renziloni non possono che essere determinate dai tempi del giudizio della Corte e da ciò che ne può conseguire per una nuova legge elettorale. Più la sentenza della Corte sarà puntuale e chirurgica, quindi immediatamente applicabile, più prossime saranno le elezioni anticipate. Che del resto Renzi prevede esplicitamente.

Anche il confermato ministro del lavoro Poletti si è espresso in questo senso, dichiarando che il referendum sul jobs act non si potrebbe fare in primavera perché ci saranno le elezioni anticipate. Non spetta a lui deciderlo, ma soprattutto l’impedimento a fare elezioni e referendum nello stesso anno può essere facilmente rimosso. Lo si fece nel 1987 con il referendum vincente sul nucleare, tenutosi nell’autunno dopo le elezioni anticipate di giugno, in base ad una legge di deroga varata nell’agosto di quell’anno. Bisogna quindi cominciare da subito a chiedere con forza che i referendum sul lavoro possano comunque tenersi nel 2017. In secondo luogo le parole di Gentiloni risultano vuote perché il più è stato deciso. Ed è per questo che la parola deve tornare ai cittadini attraverso i referendum abrogativi.

Le condizioni del paese sono gravi, come ci dice anche l’ultimo rapporto Istat documentando l’incremento della povertà, delle diseguaglianze e del tasso di disoccupazione particolarmente tra i giovani e il sud (da cui non a caso proviene la gran massa dei No) mentre quest’ultimo si riduce solo per gli ultracinquantenni, trattenuti al lavoro dalla legge Fornero. Gli stessi dati ministeriali confermano il fallimento del jobs act post sgravi: nel terzo trimestre 2016 sono stati attivati il 18,7% di contratti a tempo indeterminato in meno (oltre 93mila) rispetto al corrispondente trimestre 2015. Aumentano invece i licenziamenti: più 10,8%.

Il Senato ha licenziato la manovra di bilancio con un voto di fiducia in fretta e furia. Ma ciò che è più grave è che la Camera, dove pure la legge era stata licenziata con voto di fiducia, aveva lasciato al Senato diverse questioni da cambiare e introdurre. Questo ovviamente non è avvenuto. E’ la prima volta che il disegno di legge finanziaria viene modificato solo da un ramo del Parlamento. E’ ancora più evidente che si tratta di una manovra di bilancio a netto favore dei ceti forti e di coloro che si sono arricchiti illecitamente. Restano le provvidenze per le imprese, nella speranza che questo rilanci l’economia, malgrado gli evidenti fallimenti di simili politiche; il ritorno senza pagare pegno dei capitali fuggiti all’estero; la cancellazione di Equitalia con rottamazione delle relative cartelle. Spariscono invece quelle provvidenze che erano state pensate per accalappiare voti per il Sì. II referendum c’è già stato: passata la festa gabbato lo santo.

Restano fuori i soldi per la sanità di Taranto per i guasti provocati dall’Ilva; il già incerto accordo sugli 85 euro nel pubblico impiego rimane scoperto per il 2018; l’ampliamento degli ecobonus e del sisma bonus agli incapienti; sparisce il taglio del 33% delle slot machine negli esercizi commerciali; non ci sono certezze sul “bonus mamme” che avrebbe dovuto essere erogato dal primo gennaio secondo un emendamento caduto come altri mille, a degna conclusione della farsa del fertility day; viene rimandata sine die l’assunzione dei 350 precari dell’Istat; manca lo sconto fiscale per la bonifica dall’amianto o per chi immette il fotovoltaico nell’immobile; non si sa quale sarà la ripartizione del fondo di tre miliardi per gli enti locali; si rinvia l’estensione dell’accesso alla pensione anticipata per le lavoratrici.

Sono promesse recuperabili in altre leggi? Assai improbabile: la Commissione europea ha già fatto sapere, seppure in modo non ancora perentorio, di pretendere una nuova manovra aggiuntiva di 5 miliardi. Bisognerà prepararsi, a livello politico e sociale, a respingere questa nuova mannaia.

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