In Italia gli artigli del Condor - di Marco Consolo

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Vergognosa l’assoluzione Di 19 imputati, la maggioranza uruguaiani, al processo romano “Plan Condor”.

Lo scorso 17 gennaio, la terza Corte d’assise di Roma ha emesso la sentenza del processo contro alcuni degli esponenti delle dittature civico-militari latino-americane degli anni ’70 e ’80, responsabili del “Plan Condor”. Un processo in cui Cgil, Cisl e Uil sono parte civile. Su 27 richieste di ergastolo per alcuni carnefici e protagonisti dell’orrore, la Corte ne ha concessi solo 8 (tutti già in prigione nei loro paesi). Gli altri sono stati tutti assolti.

Come si ricorderà il “Plan Condor”, con l’appoggio della Cia, fu il coordinamento delle dittature latino-americane per la repressione e lo sterminio degli oppositori politici. Grazie a questo criminale accordo, gli oppositori erano detenuti, interrogati, torturati e fatti scomparire nei diversi paesi. Washington garantì assistenza, formazione e strategia ai golpisti, per imporre il neo-liberalismo dei “Chicago boys”, il cui braccio armato furono i militari. Secondo diversi organismi di difesa dei diritti umani, il costo umano si calcola in “..quattro milioni di esiliati in paesi limitrofi, 50mila omicidi, almeno 30mila desaparecidos, 400mila imprigionati e tremila bambini assassinati o scomparsi”.

In Italia l’indagine sul Condor fu avviata il 9 giugno 1999, grazie alla denuncia dei familiari di alcuni cittadini di origine italiana. Dopo 14 anni, l’inchiesta si è conclusa nel 2013 e il processo è iniziato a fine 2015. Ma le interminabili indagini fatte dalla Procura di Roma non hanno certo aiutato la verità, e gli artigli del Condor sono arrivati anche in Italia. Lo si è visto alla lettura della scandalosa sentenza: in aula un silenzio assordante, le facce incredule dei familiari delle vittime, le lacrime e la tristezza di chi non ha avuto né verità, né giustizia da più di 40 anni.

Vergognosa l’assoluzione di ben diciannove imputati, la maggioranza uruguaiani. Tra questi Jorge Nestor Fernandez Troccoli, uruguaiano di origini italiane. All’epoca dei crimini, Troccoli era capitano del servizio segreto della marina (S2), conosciuto come “el torturador”. Passaporto italiano dal 2002, grazie ad amici potenti, alla vigilia di un possibile arresto Troccoli fuggì dall’Uruguay per nascondersi tra Marina di Camerota e Battipaglia. Arrestato in Italia nel 2008, poi scarcerato anche per vizi procedurali, è stato assolto nonostante le prove schiaccianti per gli omicidi contestati, tra cui quelli degli italo-uruguaiani Raul Borrelli, Yolanda Casco, Edmundo Dossetti, Ileana Garcia, Julio D’Elia e Raul Gambaro. Quest’ultimo era un conosciuto dirigente sindacale, sequestrato il 27 dicembre 1977 a Buenos Aires da militari uruguaiani, ad oggi ancora “desaparecido”. Furono infatti i lavoratori i più colpiti dalla repressione quando si mobilitarono con scioperi e manifestazioni contro le dittature, a difesa dei loro diritti e delle libertà sindacali.

Questa sentenza sbatte la porta in faccia alla richiesta di giustizia e verità, e viola la Convenzione internazionale tra Italia ed Uruguay. In attesa dell’appello della procura, molti familiari delle vittime hanno dichiarato che faranno ricorso. Amaro il commento di Raul Sendic, vicepresidente dell’Uruguay presente in aula, il cui padre combatté contro la dittatura militare e trascorse molti anni in prigione: “C’è dolore e rabbia. Lo Stato uruguaiano ha fatto tutto il necessario in questo processo e faremo appello. Ci sentiamo defraudati dalla decisione del tribunale”.
Troppe le strane coincidenze nel percorso che ha portato alla sentenza. Anzitutto la famigerata loggia massonica P2 aveva tra i suoi iscritti molti responsabili latino-americani dell’orrore, mentre l’Uruguay e l’Argentina erano una importante base operativa di Licio Gelli. Incomprensibilmente, suo figlio è oggi ambasciatore del Nicaragua in Uruguay.

Inoltre i neofascisti italiani sono stati parte integrante del “Plan Condor”. Oltre alla loro presenza in Argentina, Bolivia, Paraguay e Cile, in Italia furono accusati del tentato omicidio del democristiano cileno Bernardo Leighton, avvenuto a Roma nell’ottobre 1975. L’attentato era stato organizzato dalla Dina (la polizia segreta di Pinochet) ed eseguito dai neofascisti italiani, anche loro “miracolosamente” assolti dai tribunali italiani. E, secondo le Madri e le Nonne argentine, in Italia potrebbero esserci dei “figli rubati”, ancora da ritrovare. La lotta per la verità e per la giustizia non è finita.

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