Una piramide di ipocrisia - di Silvana Cappuccio

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Il 14 agosto scorso, nel pieno della calura agostana e forse anche contando cinicamente sulla inerte distrazione vacanziera del pubblico, il governo italiano aveva a sorpresa annunciato la decisione di inviare nuovamente l’ambasciatore in Egitto, sostenendo che la ripresa delle relazioni diplomatiche avrebbe potuto aiutare la ricerca della verità su chi e perché nel gennaio 2016 abbia ferocemente ucciso, dopo averlo torturato, il ricercatore italiano Giulio Regeni. La vigilia di Ferragosto appare una scelta particolarmente infelice per l’Egitto, perché coincide peraltro con il massacro di Raba’a al-Adawayya, quando gli sgherri del presidente Morsi nel 2013 al centro del Cairo uccisero centinaia di oppositori. La tempistica e gli argomenti francamente imbarazzanti, addotti a sostegno di quella decisione dal ministro degli esteri Alfano, non convincono e avvalorano piuttosto il timore che il governo italiano voglia che sulla vicenda cali il definitivo silenzio.

Di Giulio hanno scritto: “E’ morto come un egiziano”. Solo per il periodo da giugno 2014 al 7 giugno 2017, le organizzazioni non governative ci informano di 1.134 uccisioni, 126 morti in luoghi di detenzione, 428 casi di tortura individuale, 261 casi di tortura collettiva, 393 di negligenza medica nei centri di detenzione, e 325 casi di violenza da parte di organi dello Stato, che si consumano nella totale impunità. In Egitto le sparizioni forzate avvengono ogni giorno in contemporanea a torture e ad altre gravi violazioni nei confronti dei detenuti, per estrarre “confessioni” e altre informazioni da utilizzare per perseguire le persone a norma del codice penale, della legge contro il terrorismo, o di altre disposizioni.

Di sicuro il reinvio dell’ambasciatore italiano in Egitto ha fatto sentire Al Sisi assolto di fronte alla comunità internazionale e più forte, tanto che questi, subito dopo l’annuncio del governo italiano, ha fatto arrestare Ibrahim Metwally Hegazy, l’avvocato della famiglia Regeni in Egitto, con l’accusa di voler sovvertire la “democrazia in Egitto”. Un chiaro messaggio mafioso, un avvertimento intimidatorio lanciato alla società civile, un vero e proprio atto di protervia istituzionale, un sonoro ceffone a quell’umanità di persone perbene che nella storia hanno lottato contro i potenti e pagato anche con la propria vita per il riconoscimento delle libertà e l’affermazione dei diritti di tutti, oggi simbolicamente rappresentate dalla famiglia Regeni. E questo è anche uno sberleffo a tutti noi e alle nostre istituzioni, che non hanno espresso neanche una parola di protesta per l’arresto di Metwally. Qui non ci sono da una parte la vicenda Regeni e dall’altra gli interessi nazionali, al contrario.

Le cosiddette ragioni di Stato invocate dai nostri governanti paradossalmente giocano contro lo Stato italiano, lo indeboliscono, cozzano contro i suoi principi fondatori e offendono i suoi cittadini. Giulio Regeni è stato ucciso dagli apparati di sicurezza egiziani. Le autorità dell’Egitto non hanno mai collaborato con quelle italiane, hanno solo ripetutamente promesso e puntualmente rinviato l’invio di documenti e atti utili alle autorità giudiziarie. Il ritiro del nostro ambasciatore rappresentava un mezzo di pressione, per poter continuare a chiedere una risposta su come, da chi e perché Giulio è stato ucciso, risposte a cui ha diritto tutto il popolo italiano, che si riconosce nella Costituzione e nei suoi valori, non solo la famiglia Regeni che eppure esprime il lato più nobile, alto e dignitoso del nostro paese.

Secondo quanto riportato dal New York Times, già nelle settimane successive al ritrovamento del corpo di Giulio, il governo Renzi, informato dagli Usa sul coinvolgimento di apparati di sicurezza egiziana nel sequestro, nella tortura e nell’omicidio di Giulio Regeni, aveva taciuto. Certo, l’Egitto è un partner strategico e “ineludibile”: 4,6 miliardi di euro di interscambi nel 2016, per non parlare poi della vendita di armi di cui l’Egitto è ottimo acquirente. Nessuno ha mai accennato alla possibilità di ricorrere a sanzioni economiche. Mentre, intanto, “il business delle esportazioni di armi è proseguito nonostante diverse risoluzioni europee abbiano esortato la sospensione delle forniture di attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna anche verso l’Egitto” (L’Espresso, 21 agosto 2017). E allora quali sono oggi la politica e la credibilità dell’Italia sul versante dei diritti umani?

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