Sindacato e giustizia climatica - di Simona Fabiani

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Una transizione climatica ben gestita può creare grandi opportunità occupazionali e di sviluppo sostenibile.

La “giusta transizione” è un processo economico che produce i piani, le politiche e gli investimenti che portano a un futuro in cui tutti i lavori siano sostenibili e dignitosi, le emissioni nette azzerate, la povertà sradicata, e le comunità fiorenti e resilienti. Le misure di giusta transizione sviluppate attraverso il dialogo sociale tra governi, lavoratori e datori di lavoro hanno lo scopo di garantire opportunità di lavoro nei settori che riducono le emissioni e aiutano l’adattamento al cambiamento climatico, fornendo sostegno al reddito, riqualificando e reinserendo i lavoratori del settore fossile, sostenendo l’innovazione tecnologica per una rapida transizione energetica, e costruendo fiducia nelle comunità per guidare un’effettiva trasformazione.

Il movimento sindacale internazionale ha ottenuto diversi risultati in questo ambito, fra cui il riconoscimento del linguaggio della giusta transizione nell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e le “linee guida per una giusta transizione verso economie e società ecologicamente sostenibili per tutti” dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro. Abbiamo di fronte a noi una grande sfida sociale, climatica e ambientale, la possiamo vincere solo con un’azione integrata che tenga assieme sviluppo, ricerca di piena occupazione, rispetto del pianeta e diritti umani.

Gli impegni internazionali, a partire dagli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu e dall’Accordo sul Clima di Parigi del 2015, ci indicano la direzione verso cui dobbiamo muoverci. Le scelte politiche nazionali, però, non sono sufficientemente ambiziose e non sono in grado di determinare il radicale cambiamento necessario per raggiungere quegli obiettivi. Spesso la politica giustifica la mancanza di azione nascondendosi dietro l’alibi del rischio di perdite di posti di lavoro, nonostante sia ormai provato che una transizione ben gestita può creare grandi opportunità occupazionali e di sviluppo sostenibile.

L’urgenza del cambiamento climatico e le disastrose conseguenze collegate non consentono ritardi, che, fra le altre cose, aggraverebbero le ingiustizie sociali. Il movimento sindacale sta guidando la lotta per la giustizia climatica interconnettendo le sfide contro le disuguaglianze, la disoccupazione e il degrado ambientale. Ma per farlo dobbiamo assumere l’obiettivo del contenimento dell’aumento della temperatura entro 1,5 gradi centigradi. Gli esperti raccomandano la completa decarbonizzazione dell’economia dei settori energetici e industriali entro la metà del secolo per raggiungere questo obiettivo. Ciò significa che dobbiamo fare un enorme lavoro affinché questi cambiamenti non abbiano ricadute negative per i posti di lavoro e le comunità.

Lo scorso 19 settembre l’Ituc, Confederazione internazionale dei sindacati, ha pubblicato il report “Giusta transizione – dove siamo e come procedere? Una guida alle politiche nazionali e internazionali di governance sul clima”. Il rapporto analizza le ripercussioni e le opportunità per energie rinnovabili, utilities, fonti fossili, trasporti costruzioni, design, economia circolare, agricoltura, e approfondisce vari aspetti delle politiche di giusta transizione: politiche macroeconomiche, settoriali e aziendali, diritti, salute e sicurezza sul lavoro, protezione sociale, sviluppo delle competenze, politiche attive del mercato del lavoro, dialogo sociale e tripartitismo, fornendo esempi di esperienze in varie parti del mondo.

L’Ituc avanza una serie di proposte per proseguire il nostro impegno comune per la giustizia climatica e la giusta transizione. Particolarmente importante ci sembra la proposta di impegnare il movimento sindacale nel processo della conferenza sui cambiamenti climatici dell’Onu per inserire la giusta transizione negli Ndc (contributi nazionali determinati). I governi, cioè, dovrebbero assumere impegni non solo sulla riduzione delle emissioni, come già richiesto, ma anche sugli impatti occupazionali e le misure per creare nuova occupazione e sostenere la ricollocazione dei lavoratori nella transizione. Alcuni governi, come quello del Sudafrica, l’hanno già fatto volontariamente. E’ un impegno da portare avanti a livello internazionale e da riproporre anche a livello europeo e nazionale. Un’altra proposta è quella di impegnare il movimento sindacale in sede Ilo, per definire una convenzione internazionale vincolante sulla giusta transizione.

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