
Il copione non cambia: tanti profitti, pochi diritti per lavoratrici e lavoratori. Succede, solo per fare due esempi, nelle industrie meccaniche, dove infatti si sciopera da mesi, succede in Ikea dove è in corso una dura lotta per il rinnovo del contratto integrativo aziendale.
La multinazionale svedese ha la brutta abitudine di considerare i propri addetti come pezzi dei suoi mobili componibili, affidabili e a basso prezzo. Il problema è che in questo caso si parla di donne e uomini che per vivere hanno bisogno di lavorare. “Se all’esterno Ikea si presenta come un gruppo democratico e inclusivo, attento e rispettoso dell’ambiente, dei credi religiosi, degli orientamenti sessuali – spiegano Gabriella Buggiani e Carmine Chirollo – al suo interno lo scenario è ben diverso”.
I due delegati della Filcams Cgil hanno appena concluso l’ennesimo incontro sindacale con colleghe e colleghi degli altri punti vendita disseminati lungo la penisola. “Dopo oltre un anno e mezzo di trattative, l’azienda continua a ignorare le nostre richieste – sottolinea Buggiani, che lavora a Carugate – Non vengono riconosciute le maggiorazioni ai nuovi assunti, le professionalità sono sminuite, il lavoro festivo è obbligatorio”.
“In una realtà industriale come la nostra – aggiunge Chirollo, impiegato in nel punto vendita Ikea di San Giuliano – con un gran numero di addetti assunti part-time, senza possibilità di integrazione oraria, oggi assistiamo anche all’introduzione di nuovi modelli di business con l’apertura di piccoli punti vendita di prossimità, nei quali è ancora più faticoso per il sindacato difendere diritti e assicurare tutele”.
I sindacati hanno aperto lo stato di agitazione e deciso un primo pacchetto di 24 ore di sciopero, articolato in otto ore a livello nazionale e 16 territoriale, per permettere la più ampia partecipazione nei 22 punti vendita. “Se l’azienda non tornerà sui suoi passi, si valuteranno tutte le azioni opportune”, assicurano i due storici delegati.
Il cuore della vertenza è il contratto integrativo aziendale, scaduto dal lontano 2018. Una situazione resa ancora più critica dal fatto che il contratto si basa ancora su parametri risalenti al 2015, evidenziando un ‘congelamento’ che perdura da oltre un decennio.
Ikea Italia nel 2023 ha avuto un utile di 83 milioni, nel 2024 di oltre 100 milioni di euro. “Con questi risultati – osservano Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs – non possono essere trattati così gli oltre 7.400 dipendenti”. Chirollo e Buggiani sono in azienda da 21 anni, ed oltre a denunciare il differente trattamento tra vecchi e nuovi assunti, puntualizzano che “se l’azienda ha avuto spese più alte, è comunque riuscita a incrementare i guadagni. Il 5% in più sui festivi, e nemmeno per tutti, non può essere certo considerato un risultato accettabile”.
Le richieste dei lavoratori sono chiare: rinnovo del contratto integrativo con aumenti salariali equi, parità di trattamento tra tutti i dipendenti, maggiore tutela in caso di malattia, mantenimento della volontarietà del lavoro festivo e riconoscimento delle professionalità con reali opportunità di crescita interna. “Per chi lavora solo 20 ore la settimana, lo stipendio è molto basso, con quei soldi è impossibile arrivare a fine mese – spiega Buggiani – così sei costretto ad accettare ore e ore di straordinari. Inoltre, molti dei nuovi assunti hanno contratti a termine e sono poco informati sui diritti che spettano loro. A Carugate il diffusissimo part-time involontario si traduce in un aumento esponenziale di ore di straordinario. In sostanza l’azienda applica il principio ‘ti uso quando mi serve’”.
Non c’è famiglia italiana che non abbia almeno un prodotto Ikea in casa, un design sufficientemente elegante e a prezzi accessibili, sempre a disposizione per i clienti. Dati di fatto, che ti fanno sopportare le visite in giganteschi punti vendita di decine e decine di migliaia di metri quadrati, dove è più facile perdersi che arrivare all’uscita. Si progettano cucine, bagni, camere da letto, si vendono cibi, utensili, anche biancheria. Dall’ago all’elefante, si diceva una volta.
“Ora per la progettazione stanno allestendo dei negozi più piccoli – rimarca Chirollo – con al massimo una quindicina di dipendenti ed enormi difficoltà per avere agibilità sindacale”. Quanto ai punti vendita storici, i dipendenti sono in genere centinaia, ad esempio 313 a San Giuliano e 426 a Carugate, con una percentuale di part-time che supera il 60% e tocca non di rado il 70%. “La premier Meloni si fa bella dicendo che la disoccupazione è ai minimi storici. Ma dovrebbe aggiungere che è ai massimi storici la povertà delle lavoratrici e dei lavoratori”.
Parola di chi è anche delegato sociale, dopo aver seguito un corso di formazione ad hoc, per essere in grado di aiutare compagne e compagni di lavoro più fragili, che si sono trovati in difficoltà. Vittime di condizioni lavorative ed esistenziali sempre più borderline. Cifra stilistica degli anni che stiamo vivendo, come le vite fossero smontabili e rimontabili come mobili Ikea.