
Le manifestazioni del 25 Aprile, 80esimo della Liberazione, sono state ovunque imponenti. Una forte partecipazione popolare anche in risposta all’ennesima provocazione governativa, conferma di un esecutivo di tradizione neofascista, con il miserabile tentativo di strumentalizzare la morte di papa Francesco – amato ben più dal popolo antifascista che da questa maggioranza – per mettere la sordina, se non impedire le celebrazioni della vittoria della Resistenza.
Primo Maggio e 25 Aprile sono storicamente legati da un filo rosso, che intreccia valori e ideali di pace, eguaglianza, democrazia, solidarietà, libertà, giustizia, diritti sociali e civili. Giornate di lotta e di speranza, essenza e parte costitutiva del cammino del movimento antifascista e operaio, nazionale e internazionale.
Il Primo Maggio è la giornata internazionale del lavoro: del riscatto, della denuncia e della lotta. Il suo significato è scritto nella storia e nelle lotte del movimento operaio. Vietata dal regime fascista, la festa fu ripristinata dalla Repubblica nata dalla Resistenza e dagli scioperi del ‘43, pagati con la deportazione e la morte nei campi di concentramento di migliaia di lavoratori.
Attuale nei suoi simboli e nel valore solidale, questa giornata di lotta cade ancora in una situazione drammatica per il pianeta, il mondo del lavoro e il paese, ed è occasione di manifestare in tante piazze per affermare il diritto alla pace, al lavoro, a un salario dignitoso, alla salute, all’istruzione, alla prevenzione contro le continue stragi sul lavoro, in difesa dell’ambiente e del futuro della terra. Per confermare il ruolo del mondo del lavoro nella conquista della democrazia, della giustizia, dei diritti sociali, civili e politici e che la Costituzione non è un orpello ma parte vitale del nostro presente e futuro.
Il 25 Aprile e il Primo Maggio assumono particolare significato di fronte a un governo di estrema destra, nazionalista, bellicista, guerrafondaio e sottomesso a Usa e Nato, classista, liberista, repressivo dei diritti di donne, persone Lgbtq+, nuove generazioni, disumano verso gli immigrati.
Alle politiche antipopolari di questo governo e del padronato, la Cgil risponde con gli scioperi e la mobilitazione e con la campagna referendaria per cancellare il Jobs act, il tetto all’indennizzo per i licenziamenti illegittimi nelle aziende sotto i 15 dipendenti, la liberalizzazione dei contratti a termine, la deresponsabilizzazione del committente sulla sicurezza negli appalti, e allargare la cittadinanza. Dobbiamo saper portare al voto, tra poco più di un mese, tutte le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati, i giovani, i ceti popolari, che spesso la sfiducia ha indotto all’astensione. Cinque Sì ai referendum non sono un voto di delega, ma una decisione diretta e dai risultati tangibili e immediati!
Bisogna spostare i rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra sfruttati e sfruttatori, tra ricchi e poveri. La sfida è enorme e c’è sempre più bisogno di una Cgil unità e plurale, ancorata alle sue radici e a quella visione e dell’interesse generale di classe che vive nel nostro quadrato rosso.