Leggiamo a Bruno Giordano, magistrato della Corte di Cassazione, docente all’Università di Milano, direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) fino al 2023, sempre in prima fila per la sicurezza sul lavoro, un dispaccio di agenzia Ansa, di pochi giorni fa: ‘Ancora sangue sul lavoro, tre operai morti in Veneto, Lazio e Campania. Un uomo è stato risucchiato da un macchinario, un altro è morto dopo una caduta da un’impalcatura, un terzo è stato ucciso da una scarica elettrica che lo ha folgorato’. Viene rispettata la terrificante media di tre vittime al giorno, senza contare i feriti, anche gravissimi.

Cosa si può fare di fronte a questa autentica strage?

“Bisogna avere il coraggio di trovare delle soluzioni che tocchino gli interessi di chi viola le norme sulla sicurezza. Bisogna colpire i nervi scoperti, avendo chiara la causalità degli infortuni, non attribuirli alla casualità. Non si tratta di fatalità, c’è sempre una dinamica alle spalle, che nasce anche da fattori organizzativi del lavoro. Non ci possiamo limitare a esaminare le cause materiali, tecniche, di un crollo, di una caduta, di uno schiacciamento. Dobbiamo capire che il lavoro è prima di tutto progettazione della sicurezza, programmazione e organizzazione dei luoghi di lavoro”.

Anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che per tre anni ha parlato con i sindacati solo per far conoscere le decisioni già prese dal suo governo, questa volta si è rivolta loro da pari a pari per affrontare la quotidiana emergenza del lavoro che uccide. Si promettono maggiori controlli, ma i soldi restano drammaticamente pochi per combattere questa piaga.

“Gli investimenti possono essere pochi o tanti, ma bisogna vedere come vengono destinati. Se servono a incentivare le imprese a fare maggior sicurezza, non è un’idea nuova, i fondi dell’Inail sono impiegati da anni in quella direzione. Anche defiscalizzare gli investimenti delle imprese virtuose, che investono in sicurezza, è già stato sperimentato. Il problema è che la maggior parte di questi infortuni si verifica dove c’è lavoro nero, dove c’è sfruttamento e violazione delle regole, anche fiscali, previdenziali e assicurative. Le dinamiche causali degli infortuni sono legate anche alle tipologie contrattuali, a prescindere dalla qualità dell’impresa. Assunzioni precarie, a tempo determinato, in somministrazione: tutte realtà che relegano lavoratrici e i lavoratori in condizioni di debolezza, a tal punto che rinunciano a qualsiasi pretesa di tutela per timore del mancato rinnovo del contratto. Non è un ricatto occupazionale ma ri-occupazionale, la possibilità di poter continuare a lavorare. E questo in qualsiasi tipo d’impresa, anche nella più moderna, la più sicura, porta a una rinuncia sostanziale a difendere i propri diritti”.

‘Volevamo braccia, sono arrivati uomini’, con questa frase lo scrittore tedesco Max Frisch descriveva, a metà anni settanta del secolo scorso, le politiche di reclutamento di manodopera straniera (italiana in larga misura) in Svizzera. Una formula applicabile, senza troppi giri di parole, all’utilizzo dei migranti come carne da cannone per il sistema produttivo italiano. Ma le morti bianche non hanno colore, non hanno età, si muore a 20 come a 65-70 anni.

“Le morti non hanno nulla di bianco. Aggettivarle così come se fossero fatalità, con un’idea di candore, è profondamente sbagliato. Dobbiamo correggere la nostra terminologia e non parlare neppure di morti ma di omicidi di lavoro, così come ci sono gli omicidi stradali. Omicidi che richiedono strumenti processuali, investigativi e ispettivi per accertare le responsabilità ed evitare che i processi finiscano in prescrizione. Con tutto questo gli incentivi alle imprese non c’entrano nulla”.

Da più parti si chiede l’istituzione di una procura nazionale, sul modello di quella antimafia, per gli omicidi sul lavoro. Che ne pensa Bruno Giordano?

“Noi la chiediamo da oltre vent’anni, ma anche questo Parlamento non ne vuol discutere. Potrebbe essere un’idea sbagliata, ma sarebbe importante che le forze politiche si confrontassero su questa proposta, che non vuole scimmiottare la procura nazionale antimafia ma parte dalla necessità che ci siano pubblici ministeri specializzati sui temi della sicurezza. Direi di più, di tutti i reati che si occupano di lavoro. Penso al caporalato, allo sfruttamento, alla tratta, alle violazioni in materia di previdenza e assicurative. La concentrazione di queste indagini avrebbe un effetto acceleratore sui processi e quindi sulla effettività e tempestività della risposta giudiziaria. Altrimenti non garantiremo mai le vittime di questi reati”.

E’ appena uscito ‘Operaicidio’, un libro scritto con Marco Patucchi, introduzione di Luciano Canfora, che radiografa alla perfezione lo stato delle cose. Perché e per chi il lavoro uccide, le storie, le responsabilità, le riforme. Eppure c’è chi ancora nel mondo politico e imprenditoriale sottovaluta il problema.

“E’ un testo che non avremmo voluto scrivere, ma abbiamo dovuto farlo. Perché non ci si può voltare dall’altra parte”.