
Nei giorni scorsi, quando mancava poco più di un mese al voto referendario dell’8 e 9 giugno, governo e maggioranza hanno gettato la maschera. Prima è stato diffuso tra i parlamentari di Fratelli d’Italia un documento intitolato “Referendum, scegliamo l’astensione”. Quindi sono cominciate le esternazioni pubbliche, a partire dal vicepresidente del consiglio e ministro degli esteri Antonio Tajani, per continuità berlusconiana “leader” di Forza Italia. “Non condividiamo la proposta referendaria, quindi invitiamo all’astensione. Astenersi significa non andare a votare. Non c’è nessun obbligo di andare a votare”, a suo avviso.
E’ palese il tentativo di sabotare i referendum attraverso il silenzio da un lato e l’invito alla diserzione delle urne dall’altro. A ben vedere, però, si tratta della conferma, al tempo stesso, dell’impostazione postfascista, antidemocratica e autoritaria di questa maggioranza e della sua debolezza politica, per l’assoluta mancanza di argomenti di merito capaci di controbattere i sacrosanti contenuti e obiettivi dei cinque quesiti referendari, di cui evidentemente si coglie che il consenso nel paese è ampiamente maggioritario.
Nessuno, tra politici di destra, padroni, opinionisti di grido, “padrini” delle leggi che andremo ad abrogare, è in grado di contestarne il significato e la capacità – con il raggiungimento del quorum e la vittoria dei Sì – di migliorare le condizioni di vita e di lavoro di milioni di italiane e italiani, con o senza cittadinanza.
E allora lorsignori non si fanno scrupolo di smentire le stesse parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che il 25 Aprile, non a caso, ha ricordato: “Non possiamo arrenderci all’astensionismo”. Un appello alla partecipazione lanciato nel giorno simbolo della democrazia e della Repubblica nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro.
Un ulteriore gioco pericoloso, che non nasconde il duplice obiettivo del governo autore del decreto “sicurezza”, contro cui saremo tutti in piazza il 31 maggio: attaccare in un sol colpo i referendum e la democrazia, fondata sulla partecipazione popolare e il voto.
Una partecipazione che dà fastidio, che mina i progetti autoritari del premierato e della “donna sola al comando”. I cittadini che votano, soprattutto quelli che votano diversamente dai desideri dell’attuale maggioranza, non sono il sale e la sostanza della democrazia, ma un pericoloso impiccio e intralcio per i disegni autoritari e di macelleria sociale di Meloni e soci, Fratelli o cugini d’Italia che siano. Non hanno argomenti, sanno che i Sì stravinceranno, vogliono truccare la partita con ogni mezzo, persino le circolari prefettizie che impongono di non parlare dei referendum. Ma il re è nudo.
Tutti motivi in più, se ce ne fosse bisogno, per un ritorno in massa alle urne l’8 e il 9 giugno prossimi. Per i diritti sul lavoro, per dire basta a precarietà e morti sul lavoro, per allargare la cittadinanza. E per difendere e praticare la democrazia. Il voto e il quorum sono la nostra rivolta!