La rapida elezione di Robert Francis Prevost, nato a Chicago 69 anni fa, agostiniano e a lungo missionario in Perù, ha portato sul soglio pontificio il cardinale che da due anni era a capo della Congregazione dei Vescovi. Una nomina di Jorge Bergoglio che, di fatto, lo lanciava al papato, permettendogli sia di entrare in contatto con la Curia vaticana che di rapportarsi con le diocesi sparse ai quattro angoli del pianeta.
Prevost ha scelto di chiamarsi Leone XIV, a spiegarne le ragioni è stato lo stesso Papa nel primo incontro con i cardinali: “Principalmente perché il Papa Leone XIII, infatti, con la storica enciclica Rerum Novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.
Proprio in Perù il nuovo pontefice ha conosciuto le sofferenze degli ultimi, dei migranti che dal Sud dell’America cercano fortuna andando verso Nord. E già alla vigilia del conclave Prevost ha fatto sapere come la pensa, ripostando articoli con le sue posizioni molto critiche nei confronti del vicepresidente statunitense J.D.Vance, e dello stesso presidente Donald Trump, a proposito delle terribili politiche sull’immigrazione della Casa Bianca.
Le sue prime parole da nuovo pontefice sono poi indicative della rotta, già indicata da Bergoglio, su cui indirizzare la chiesa cattolica: “Aiutateci a costruire i ponti, con il dialogo, l’incontro, per essere un solo popolo sempre in pace”. Una rotta opposta a quella che stanno seguendo i detentori del potere temporale in Occidente, le cui retoriche belliciste – e i progetti di riarmo diffuso – non lasciano certo immaginare un futuro di pace.