
Il referendum unisce la lotta per i diritti e la lotta per il diritto di voto. Votare è ancora uno strumento di lotta. E’ un favore che facciamo alla democrazia di questo Paese.
“Superare la visione conflittuale nelle dinamiche fra impresa e lavoro”. Sono proprio le parole del primo ministro Giorgia Meloni a dare la misura di quanto sia stata giusta la scelta di ricorrere allo strumento referendario, per abolire quella legislazione che negli anni ha reso il lavoro povero, precario e vulnerabile. “Visione tossica”, l’ha definita. E invece non c’è niente di tossico nel conflitto.
In una società che è fatta di interessi contrapposti, al fine di esaltare la democrazia, sono proprio i conflitti lo strumento per arrivare alle soluzioni. Oggi la lotta viene messa in campo per difendere i diritti, ma in un tempo non troppo lontano le lotte sono servite a conquistarli. E’ importante ricordarlo perché sempre di più si sta realizzando uno strappo tra i cittadini e l’idea che attraverso il voto, sentendosi cioè parte di qualcosa, si possano davvero cambiare le reali condizioni di vita di ognuno. Per questo “il voto è la nostra rivolta”.
Con l’utilizzo dello strumento del referendum si unisce la lotta per i diritti e la lotta per il diritto di voto. Questo significa rivitalizzare l’idea che votare è ancora uno strumento di lotta. E’ un favore che facciamo alla democrazia di questo Paese. E quindi la campagna elettorale ha una prima grande sfida davanti, quella di superare il quorum, in un contesto in cui la rassegnazione e l’indifferenza sembrano essere diventate l’unica scelta rispetto ad una società incapace di rispondere alle reali necessità della popolazione.
La sfida per ognuno di noi è quindi quella di rivitalizzare l’idea che solo praticandola si difende la democrazia e che, sopratutto con questo voto, siamo noi a poter decidere il nostro destino, il nostro futuro. Cinque quesiti e cinque “Sì”, quattro sui diritti del lavoro ed uno sul diritto di cittadinanza. Cinque quesiti e cinque “Sì” per riprendersi ciò che ci è stato tolto, la dignità, la sicurezza, la possibilità, prevista costituzionalmente, di realizzarsi e valorizzarsi attraverso il lavoro.
Tutto questo in una fase storica mondiale in cui persino il diritto internazionale è violentato dalle lobby di potere, usato a propria misura e convenienza dalle grandi potenze mondiali manovrate dal “capitalismo finanziario”. In una fase storica in cui la repressione del dissenso e quindi del conflitto e delle lotte diventa prassi quotidiana.
E’ una campagna elettorale particolarmente dura e difficile anche per queste motivazioni, ma ci muove la consapevolezza di essere dalla parte giusta della storia, quella che vuol cambiare in meglio il nostro Paese. Un altro capitolo della storia ultracentenaria della Cgil che ci ricorda che, se l’Italia è una democrazia, lo è anche grazie alle lotte del sindacato, quelle passate, quelle presenti e quelle future.