
All’apertura della cassa integrazione da parte di Esselunga per 200 lavoratori e lavoratrici del magazzino milanese Dione Cassio, la Filcams Cgil ha risposto duramente con la proclamazione dello stato di agitazione per tutti i magazzini di Milano (Dione Cassio, Sesto Ulteriano e Settimo Milanese), e con la richiesta del ritiro dell’ammortizzatore sociale. Così facendo non abbiamo dato spazio al tentativo di scaricare sui lavoratori interni la mancanza di risposte da parte delle società Brivio e Viganò, Cap Deliveri e Deliverit, in appalto a Esselunga, sedute al tavolo di trattativa con le categorie sindacali dei trasporti, ed evitare innanzitutto eventuali dinamiche di contrapposizione tra lavoratori esterni ed interni. La solidarietà e la lotta era l’unica strada che andava percorsa.
Oggi, nonostante la firma dell’accordo che ha dato una prima risposta alle importanti rivendicazioni dei rider in merito a maggiori garanzie in tema di salute e sicurezza e sul piano normativo, per quanto riguarda i 200 lavoratori dei magazzini rimangono aperte almeno due questioni cruciali, a cominciare dal fatto che l’azienda, nonostante le pressioni, non ha ancora ritirato la cassa integrazione, poi la gestione delle diverse giornate di inattività forzata che vanno affrontate senza arrecare danni economici ai lavoratori dei magazzini.
Questa vicenda fa emergere anche alcune questioni di forte rilevanza politica per la nostra organizzazione, in primis l’apertura di un ammortizzatore sociale con la causale di inattività forzata per sciopero di altri lavoratori in appalto nella stessa azienda, e poi il tema della ricomposizione delle filiere nelle grandi aziende e dei grandi siti produttivi.
Infatti, proprio i lavoratori diretti Esselunga che sono stati collocati in cassa integrazione sono gli stessi che circa un anno fa erano in appalto. È dunque importante tenere conto di questi aspetti. Come Filcams, poco più di un anno fa, proprio con i lavoratori in questione abbiamo sottoscritto il “Protocollo di internalizzazione”, il primo in Italia nel suo genere, per circa tremila lavoratrici e lavoratori sul territorio nazionale (circa duemila solo in Lombardia). Grazie a questo Protocollo oggi i lavoratori hanno ricevuto una serie di garanzie, a cominciare dall’assunzione diretta in Esselunga (senza periodo di prova) con l’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) e del contratto integrativo di secondo livello, da cui erano esclusi.
Altro punto di assoluto valore previsto nel Protocollo è l’esclusione del ricorso al subappalto in altri servizi, come la logistica, le pulizie e la vigilanza. Non ultimo, grazie a questo accordo, la categoria ha avuto anche un forte riscontro in termini di sindacalizzazione e di tesseramento.
Il Protocollo coglie uno dei temi di forte criticità che, come sindacato, stiamo registrando negli ultimi vent’anni, e cioè la necessità di contrastare e invertire quei processi di frammentazione del mondo del lavoro da parte delle grandi imprese che, per tagliare i costi e de-responsabilizzarsi anche in tema di salute e sicurezza, esternalizzano e appaltano a terzi importanti segmenti produttivi.
Queste operazioni, che avvengono in tutti i settori del mondo lavorativo, si traducono sempre in un peggioramento delle condizioni di lavoro, attraverso un abbattimento dei diritti, dei salari, e delle tutele del benessere lavorativo, e con l’applicazione di contratti nazionali più disparati e poco rappresentativi che disciplinano in pejus le parti normative e salariali. Non a caso, la cronaca più recente ci consegna un grande numero di infortuni plurimi (anche mortali) o di insorgenze di patologie, avvenuti nel lavoro in appalto o subappalto.
In tema di salute e sicurezza negli appalti, tra i referendum proposti dalla Cgil su cui si va alle urne l’8 e 9 giugno prossimi, quello che intende riconsegnare la responsabilità solidale alle aziende committenti in caso di infortunio e di malattia professionale è tra più importanti, al fine di alzare il livello di massima attenzione per tutti i lavoratori e le lavoratrici, oggi vittime di logiche di profitto.
Oggi, per le categorie sindacali, in un’ottica sinergica con la regia della confederazione, è fondamentale mettere in campo progetti rivendicativi di ricomposizione delle filiere. Fondamentale avere sempre più chiara una visione di insieme per cogliere le interconnessioni tra i settori di realtà lavorative complesse, evitando di lavorare a compartimenti stagni, con risultati non sempre ottimali nonostante gli enormi sforzi che siamo abituati a fare.