Dal valico di Rafah non passa nemmeno uno spillo. Gli attivisti della carovana restano davanti al cancello bloccato dall’occupazione israeliana. Hanno portato vestiti per bambini, sandali, giocattoli, orsetti di peluche, li depongono proprio davanti allo striscione ‘Stop complicity’ con i volti dei primi ministri europei, Giorgia Meloni compresa, di Ursula von der Leyen, della rappresentante dell’Unione per la politica estera Kaja Kallas. A reggerlo sono parlamentari, giuristi, giornalisti, attivisti di decine di Ong che aderiscono ad Aoi, l’Associazione delle organizzazioni non governative italiane, i militanti di Arci, Acli e naturalmente di AssopacePalestina.

Decine di cartelli chiedono ‘Stop genocidio’, ‘Stop apartheid’, ‘Cessate il fuoco’, ‘Aprite i valichi’, ‘Sanzioni per Israele’ e ‘Stop alla vendita di armi a Tel Aviv’. Almeno la notizia dell’iniziativa riesce ad attraversare il valico. E arrivano in risposta migliaia di grazie: ‘Allora non siamo dimenticati dal mondo’, ‘Fermate il genocidio e la mano degli assassini’.

Alfio Nicotra è appena tornato in Italia con la carovana solidale, lo storico esponente di un ‘Un ponte per’, membro dell’esecutivo di Aoi, assicura che la mobilitazione per Gaza non si fermerà, che il popolo palestinese non sarà lasciato solo. “Che si siano smossi i segretari dei principali partiti dell’opposizione, con una richiesta alla premier Meloni di far pressioni su Israele per consentirci di entrare nella Striscia, è un fatto inedito e importante. Il crinale tra civiltà e barbarie passa da quei muri e quei confini. Non possiamo rimanere a guardare”.

Come è nata l’idea della carovana solidale?

“Siamo riusciti a mettere insieme pezzi di società civile organizzata, giornalisti e parlamentari, oltre a un nutrito gruppo di giuristi. L’obiettivo era quello di sensibilizzare il mondo dell’informazione e la politica sulla tragedia palestinese. Non è un bel termine, ma lo uso ugualmente: volevamo ‘alfabetizzare’ sulla questione palestinese. Buona parte dei media sono stati imbarazzanti, così come la politica. Per più di un anno sono stati silenti sulle atrocità commesse dal governo israeliano. Quattordici mesi fa organizzammo la prima carovana, una scommessa vinta. Siamo arrivati fino al valico di Rafah che allora funzionava, anche se con la politica tipica di Israele, quella del contagocce. Però c’erano camion di aiuti umanitari che passavano, l’arma della fame e della sete veniva già utilizzata, ma non certo in queste dimensioni”.

Questa volta che situazione avete trovato?

“Dal 2 marzo non passa più niente. Sono entrati meno di dieci camion, una inezia. Soprattutto aiuti alimentari per bambini, ma chiunque ha fatto il genitore sa che per preparare le pappe serve acqua potabile, un bene indisponibile nella striscia di Gaza ormai da tempo. Così si muore di disidratazione, anche di malattie gastrointestinali, i potabilizzatori sono stati mesi fuori uso dai bombardamenti, quelli che ancora ci sono non possono funzionare perché è stata tagliata l’energia elettrica. Perfino i pannelli solari, e nei magazzini della Mezzaluna rossa egiziana ne abbiamo trovati tantissimi, sono considerati da Israele uno strumento di guerra e vengono bloccati. L’esercito ferma tutto: le carrozzine perché contengono ferro, le incubatrici, i frigoriferi per conservare le medicine, le bombole di ossigeno. I pochi alimenti rimasti vanno a male, quando siamo arrivati nel Sinai c’erano già 45 gradi. Le farine devono essere setacciate perché ci sono i vermi. L’Uawc, l’Unione degli agricoltori palestinesi, con cui ‘Un ponte per’ ha fatto la campagna ‘Acqua per Gaza’, ci ha detto che è sistematica anche la distruzione delle terre coltivate, che davano una boccata di ossigeno alla popolazione della Striscia”.

Lo spot di pessimo gusto di Donald Trump con Gaza trasformata in un resort per ricchi sembra quasi un obiettivo da raggiungere, cacciando i palestinesi fuori dalla loro terra.

“L’obiettivo dichiarato, e in buona parte raggiunto, è quello di rendere inabitabile la Striscia di Gaza e bloccare ogni iniziativa umanitaria. Non per caso il parlamento israeliano ha approvato una disposizione che definisce sgradite, revocando il permesso ad operare, tutte le organizzazioni non governative che denunciano che ‘i palestinesi muoiono di fame’, ‘mancano i vaccini’, ‘mancano gli anestetici negli ospedali’. Per Israele sono filopalestinesi. Insieme alle Ong, sono criminalizzate tutte le istituzioni internazionali legate alle Nazioni Unite. Il segretario generale Guterres da più di un anno è considerato persona non gradita, l’Unrwa, l’agenzia Onu per il soccorso dei profughi palestinesi, è anch’essa giudicata nemica di Israele, nonostante sia stata un fattore decisivo per la sopravvivenza della popolazione non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania, a Gerusalemme, in altri paesi come il Libano”.

Sembra non esserci fine al peggio…

“Fino a poco tempo fa la distribuzione degli aiuti sulla Striscia avveniva in modo uniforme, in 400 punti, dal nord al sud, gestiti dalle Nazioni Unite nel quadro del programma mondiale dell’alimentazione. Dalla fine di maggio non sarà più così, perché l’intenzione di Israele, lo ha detto chiaramente Netanyhau in un intervento rivolto alla parte più messianica, di destra, estremista e razzista del parlamento, è quella di affidare la distribuzione degli aiuti umanitari a un ufficiale dei marines a riposo, gestita da contractors statunitensi, e circondata dall’esercito, con un meccanismo di schedatura – tramite scanner facciali – della popolazione palestinese. L’idea che si fa strada è quella di predisporre a Rafah – già rasa al suolo dall’occupante e ridotta un cumulo di macerie – questo nuovo centro ‘privatizzato’ di gestione degli aiuti, solo alimenti, il minimo di calorie indispensabili alla sopravvivenza, in modo da indurre la popolazione dal centro e dal nord di Gaza a spostarsi di nuovo verso sud, preludio di quella espulsione di massa che la destra israeliana sta propugnando come ‘soluzione finale’ della questione palestinese. Insomma, il cibo sarà gestito e distribuito da americani e israeliani, mentre le Nazioni Unite saranno escluse. Solo le calorie necessarie a non morire di fame, nessun kit sanitario, nessuna tenda proprio per impedire il reinsediamento, in qualsiasi forma, dei palestinesi. Siamo all’antivigilia della deportazione definitiva, in condizioni disumane, senza acqua potabile, corrente elettrica, senza ospedali né luoghi sicuri, con l’estate alle porte dove si raggiungeranno temperature di 55 gradi”.

Solo negli ultimi giorni i media italiani, con poche lodevoli eccezioni, hanno iniziato a dar conto di questa agghiacciante realtà. Come se ne può uscire?

“Prima di tutto bisogna farla finita con la propaganda. Qualcosa si è rotto, perfino in Inghilterra e Svezia, che pure hanno sempre difeso a spada tratta Israele. L’Unione europea sta pensando di bloccare l’accordo di partenariato con Israele, che aveva agevolazioni doganali ed economiche molto favorevoli. Il governo italiano spesso cita la formula ‘food for Gaza’, intanto però dai valichi non si passa. Prima del 7 ottobre transitavano 700 camion di aiuti umanitari al giorno, ora ne stanno passando una quindicina. Poi non dimentichiamo la Cisgiordania. Anche lì la situazione è drammatica, sempre più territori palestinesi vengono occupati dai coloni israeliani. Stiamo organizzando una delegazione, andremo anche là con i parlamentari del Pd, del Movimento 5 stelle, di Avs. Sono stati fatti passi avanti, non era scontato che in Parlamento ci fosse una mozione unitaria delle opposizioni per il cessate il fuoco, la richiesta di sanzioni a Israele, e di far rispettare il diritto internazionale”.

Israele ha battezzato ‘i carri di Gedeone’ la sua ultima operazione militare. Una citazione biblica terribile, legata allo sterminio di un popolo.

“Non per caso Tel Aviv sta facendo carta straccia del diritto internazionale, se ne frega della Corte internazionale di giustizia e delle convenzioni di Ginevra che obbligano le forze occupanti a sfamare e non a sparare sui civili. Non avremmo mai consentito che per combattere il terrorismo dell’Ira a Londra fossero annichiliti i quartieri cattolici di Belfast. Quello che è consentito a Israele è davvero inquietante, un’idea di suprematismo bianco, colonialista, che fa accapponare la pelle. Nella Striscia si stanno sperimentando le armi più terribili, radendo al suolo ogni cosa. Abbiamo la più alta percentuale di bambini mutilati, senza parlare dei traumi incancellabili che intere generazioni porteranno per sempre con sé. Solo la pace è un buon investimento, anche per Israele”.

Nel mentre Donald Trump se la prende con gli studenti stranieri di Harvard…

“Un tempo lo avremmo chiamato maccartismo. Certo è che accusare di antisemitismo un movimento a sostegno dei diritti palestinesi come quello statunitense è imbarazzante, un controsenso, fra gli attivisti ci sono settori della comunità ebraica. Accuse usate come scudo per giustificare l’ingiustificabile. Penso che l’antisemitismo sia un problema vero, molto radicato in Occidente, dove è nato e cresciuto. Ma utilizzarlo in questo modo strumentale, per cui ogni critica al governo di Israele ti trasforma in antisemita, è una falsità, un meccanismo che va smontato, rotto. Nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania la linea rossa è stata abbondantemente superata”.

Come si può fermare Israele?

“Per prima cosa non vendendogli le armi. E poi sanzionandolo e organizzando vertici internazionali sulla questione palestinese”.