
E’ morto Ali Rashid. Un importante dirigente di sinistra di Al Fatah. E’ stato segretario nazionale dell’Unione degli Studenti Palestinesi. E’ stato Primo Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia. Ha fatto parte di Democrazia Proletaria e, nel 2006, è stato eletto deputato di Rifondazione Comunista.
E’ stato un grande scrittore e poeta, un ottimo giornalista.
Sono affranto per la morte di Ali. Per me è stato un fratello.
Ali è stato un fine, struggente poeta delle tragedie ma soprattutto della dignità, dell’orgoglio, della ribellione del popolo palestinese.
Ali soffriva tanto, soprattutto negli ultimi mesi, per il massacro del suo popolo da parte di un governo criminale. Ed era molto addolorato per il complice silenzio, di fronte al tentativo di sterminio del suo popolo, per il codardo cinismo dei governi europei e del governo italiano.
Ali, ne sono certo, è stato stroncato dalla sofferenza fisica ed emotiva. Negli ultimi giorni era affranto alla vista dei bambini uccisi, mutilati.
Ho vissuto, con Ali, cinquanta anni di condivisione: alternando gioie e delusioni, vita e politica. Già dalla metà degli anni ‘70, in Democrazia Proletaria, quando ottenemmo dal Parlamento il riconoscimento di una sede istituzionale per la Palestina in Italia, quasi elevata a ruolo di ambasciata di uno Stato che ancora non esisteva. E, purtroppo, ancora non esiste. Ali è stato poi deputato di Rifondazione Comunista, colto, preparato, capace di coniugare progetto, conflitto, competenza istituzionale.
Ali mi ha insegnato tanto della Palestina, la cultura di questo popolo bello, straordinario, che non si è mai arreso e non si arrenderà. Mi ha insegnato che cosa significhi difendere gli ulivi dal fuoco violento dei coloni che occupano, con comportamenti illegali e criminali, territori e case palestinesi.
Si può dire che sia democratico, che sia stato di diritto lo Stato israeliano che occupa militarmente territori appartenenti ad un altro popolo in base alle convenzioni internazionali e alle direttive delle Nazioni Unite?
Ho da Ali imparato cosa significhi amare e salvare la produzione artigianale di miele. Perché, per i palestinesi, questo vuol dire salvare l’identità di un futuro Stato che non potrà mai essere un bantustan, un recinto/ghetto circondato dall’esercito israeliano.
Abbiamo sofferto nel vedere che questa passione, questa generosità venivano distrutte dalla violenza assassina dei bombardamenti. Nel vedere le splendide donne, mamme palestinesi piangere i figli uccisi. L’inciviltà dello sterminio, la fine dell’umanità.
Con Ali ho vissuto una giornata indimenticabile a casa di Arafat, che mi nominò membro onorario del Consiglio Nazionale Palestinese dopo il mio arresto, in Israele, per aver sventolato la bandiera palestinese dinanzi alla sede del governo israeliano, in solidarietà con gli studenti palestinesi discriminati dalle università israeliane, un vero e proprio apartheid.
Mi fermo qui.
Approfondiremo gli scritti e le poesie di Ali.
Mai dimenticheremo il suo sguardo triste, acuto, fiero. Ricordo il suo ultimo appello, per la pace, per il disarmo, contro la guerra: “La ragione, l’umanità, la vita ci supplicano di dire no alla guerra! Non siamo condannati a farci a pezzi l’un l’altro”. Ali era convinto che il dialogo fosse fondamentale. Ci manca tanto, soprattutto oggi.
Siamo tutte e tutti palestinesi!