
La Cgil “considera la Pace tra i popoli bene supremo dell’umanità” (art. 2 Statuto).
Il forte legame tra il movimento dei lavoratori e la Pace ha fatto la storia del nostro Paese e, nonostante le difficoltà derivanti dalle imponenti trasformazioni economiche e sociali, è ancora vivo. Difatti in questi mesi la Cgil tutta, da nord a sud, attraverso le Camere del Lavoro territoriali e le categorie, si sta adoperando per chiedere assieme la fine del massacro a Gaza e il sostegno ai 4 referendum sul lavoro, necessari ad arginare la insostenibile precarizzazione dei rapporti di lavoro.
A questo proposito è emblematica l’assemblea pubblica organizzata dalla Filcams pugliese il 29 maggio a Bari, “5 SI’ per la dignità e l’umanità del lavoro”, che associa il tema della Pace con gli interventi di Taysir Hasan della comunità palestinese ed esponenti delle istituzioni, al tema della precarietà nel lavoro posto con forza dai referendum.
Il collante è quello di sempre: la solidarietà, anche per la rivendicazione di maggiori diritti ai migranti con il quinto referendum sul diritto di cittadinanza.
La precarietà è quella condizione che vive chi non ha abbastanza lavoro, o salario, per vedersi garantita una vita dignitosa. Il lavoro “povero”, fatto di contratti a termine e salari bassi, è divenuto, si può dire, condizione generale.
La scelta, aggravata dal governo Renzi, di rendere più flessibile sia in entrata (assunzione) che in uscita (licenziamento) la prestazione della manodopera, ha portato ad un impoverimento generale del Paese. Perché, come affermano alcuni giuslavoristi, se diminuisce la propensione individuale al consumo (un precario non può accendere un mutuo per comprare una casa), diminuisce anche la propensione collettiva al consumo (entra in crisi il mercato dell’edilizia e del suo indotto), creando così stagnazione.
L’illusione che “liberare” il mercato del lavoro dai diritti portasse a una crescita dell’offerta di lavoro ha prodotto il risultato opposto: meno lavoro con meno diritti. Un’analisi condotta dalla Cgil di Bari ha svelato che, dei nuovi posti di lavoro attivati nell’area metropolitana nel 2024, il 92% sono rapporti a termine, caratterizzati dalle tipologie contrattuali più fantasiose. Solo l’8% sono contratti a tempo indeterminato.
In Puglia, secondo i dati Istat ripresi di recente dalla segretaria generale Cgil, Gigia Bucci, un cittadino su quattro vive in condizioni di povertà, il 40% dei dipendenti non arriva a 10mila euro lordi annui, quasi 280mila uomini e donne hanno in essere rapporti di lavoro a termine.
Sono dati che rappresentano la punta dell’iceberg dell’acuirsi di una crisi generale più profonda, segnata da numerosi fattori: calo demografico ed esodo giovanile, crescita delle disuguaglianze, abbandono scolastico, disaffezione verso la partecipazione democratica, respingimento dei migranti, ritorno della guerra nello scenario internazionale.
Anche in Puglia, come in altre regioni, proseguono senza sosta le iniziative pubbliche mirate ad accendere i riflettori sui 5 referendum per i quali l’8 e 9 giugno si andrà a votare. Iniziative, come da tempo fa la Cgil Puglia, volte alla ricerca della condivisione e creazione delle alleanze – tavoli con istituzioni, associazioni, forze politiche, mondo accademico e delle professioni, università – che non disdegnano il confronto con posizioni politiche diverse.
Ospedali, mercati, strade, piazze, parchi, centri commerciali, aziende, siti di interesse culturale sono i luoghi battuti dal fitto programma previsto dal 13 maggio al 6 giugno dalla Cgil di Barletta-Andria-Trani per promuovere la campagna referendaria. Stesso entusiasmo, medesima passione caratterizza le tante iniziative sui referendum che già da tempo le Camere del Lavoro e le categorie stanno organizzando nelle province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto.
Il racconto dei cinque referendum viaggia sulle gambe dei compagni e delle compagne all’interno dei luoghi di lavoro e di aggregazione sociale, negli eventi culturali, nei mercati e nelle fiere, nelle strade. Insomma in quei luoghi veri dei quali l’attuale governo non parla, in coerenza con la scelta dell’astensionismo.
Evidentemente il Paese reale sta da un’altra parte, ad esempio nel grande successo delle elezioni Rsu del Pubblico impiego e della Conoscenza che hanno registrato un’altissima partecipazione di lavoratori e lavoratrici, e dove la causa che sposa l’interesse generale e il valore della solidarietà ha fatto la differenza.
Nei giorni della campagna Rsu, nella scuola dove lavoro mi viene posta la domanda: “Ma la scuola cosa c’entra con questi referendum?” Ho risposto così: “La scuola oggi è chiamata a ridefinire la sua funzione. Ha bisogno di recuperare quel vuoto di senso che la lascia muta di fronte alla domanda che i ragazzi e le ragazze di oggi le rivolgono: a che serve studiare se tanto ci aspetta un lavoro precario e mal pagato?”.
Cambiare oggi per dare a noi, e alle generazioni che verranno, un futuro migliore è, come diceva Giuseppe Di Vittorio, una causa giusta.