
Il percorso di mobilitazione e lo sciopero del 12 maggio del precariato universitario.
Lo scorso 12 maggio la Flc ha indetto una giornata di sciopero per i precari e le precarie dell’università: ricercatori e ricercatrici a tempo determinato, assegniste e assegnisti, borsisti e borsiste, ‘varie ed eventuali’ (docenti a contratto, prestazioni occasionali, partite Iva, ecc.). Lo sciopero è stato accompagnato da assemblee del personale universitario, coinvolgendo professori, ricercatori di ruolo, tecnici, amministrativi e bibliotecari: in più di 25 sedi si sono tenute iniziative, presidi, cortei e lezioni in piazza.
Questa giornata ha dato una voce collettiva ad una componente che, per quanto significativa, è stata sinora dispersa, senza rappresentanza e soprattutto considerata un ‘non lavoro’ (negli atenei e nella società): una sorta di proseguimento indefinito degli studi, una ‘passione’, un infinito apprendistato. Non a caso è inquadrato in rapporti di lavoro atipici, ibridi e particolari (borse senza maternità o disoccupazione; cococo esentasse, quindi senza welfare fiscale, con gestione separata e Diss-Col; contratti individuali, esclusi sia dal Ccnl sia dallo stato giuridico, senza rappresentanze). Questa iniziativa ha allora gridato che “la ricerca è lavoro”, contro una proposta governativa che moltiplica tutele decrescenti (il ddl 1240), rivendicando un piano straordinario di stabilizzazione.
Questa giornata, dall’altra parte, è stata occasione di incontro tra le diverse componenti. Il lavoro nelle università è infatti diviso, nelle condizioni e nelle identità, tra chi è in regime pubblicistico (i docenti, che spesso non si vivono come dipendenti anche se lo sono), chi è contrattualizzato (il personale Tab, Ccnl pubblico Istruzione e Ricerca, su cui usualmente si focalizza l’azione sindacale), chi è nel frammentato mondo degli appalti (Multiservizi, Vigilanza privata, ecc), chi è nella terra di mezzo (appunto, il cosiddetto precariato). Condizioni, interessi, punti di vista con una lunga storia di separazione e diffidenza, spesso complicati da ricomporre.
Tenendo anche conto che le politiche di precarizzazione non sono state solo sostenute dalla Crui (la Conferenza dei Rettori Italiani), ma originano da concezioni e rapporti gerarchici nell’accademia, sono pensate e definite nelle cosiddette governance di ateneo. Quindi il lavoro di ricomposizione è anche lavoro di distinzione su “quale università si pensa e si costruisce”.
Il ruolo di un sindacato generale, però, è proprio quello di ricomporre il lavoro intorno ad un progetto: per questo abbiamo costruito momenti unitari e rivendicazione condivise, a partire dal contrasto al riarmo e dalla richiesta di risorse (meno dell’1% del Pil, contro una media europea dell’1,5%).
Questa giornata allora è stata composita e plurale, all’interno di un lungo percorso. Plurale, perché l’attivazione del precariato si è sviluppata dall’estate scorsa partendo da alcune associazioni (Adi e Arted, dottorandi e ricercatori precari, con “lacampagna90%”), è proseguita con gli stati di agitazione (assemblea a RomaTre a dicembre, con associazioni della docenza e studentesche come alcune società scientifiche, Andu, Rete29aprile, Link, Udu), ed è fiorita in strutture di movimento come le Assemblee precarie universitarie e i coordinamenti di ateneo (assemblea a Bologna dell’8-9 febbraio).
La Flc ha scelto di stare in questo movimento eterogeneo, parte di parte, nel difficile tentativo di contribuire ad una mobilitazione unitaria e sviluppare l’opposizione sociale. Lo ha fatto anche con l’autonomia di una propria proposta, “un piano straordinario di allargamento degli organici e stabilizzazione”, che per la prima volta ha rivendicato l’estensione dei meccanismi di stabilizzazione del resto della Pubblica amministrazione agli atenei (la Madia), guardando all’insieme delle diverse figure (25mila professori, 5mila tecnologi, 10mila tecnici e amministrativi, 5mila contratti di ricerca all’anno). Perché non è caso che sia emerso un movimento del precariato.
Oggi nell’università quasi un terzo del personale condivide questa condizione: poco più di 50mila docenti strutturati, poco più di 50mila Tab e collaboratori linguistici, oltre 40mila precari. Un numero gonfiato dal Pnrr, in un sistema ‘ristretto’ dai tagli di Gelmini e Tremonti (ancora oggi il rapporto docenti/studenti è 1 a 20, a fronte di 1 a 14 della Ue).
Questo movimento ha segnato un passaggio e oggi si trova subito ad affrontare un ostacolo: la forzatura del governo, che ha trasformato il nucleo del ddl 1240 in un emendamento ad un decreto (dl 45/25), in rapida approvazione ai primi di giugno.
Si torna quindi in campo (un appello con oltre duemila firme, il 3 giugno a Roma), per rilanciare il prossimo autunno su risorse e stabilizzazione, per un’università pubblica e democratica.