Mancano pochi giorni al voto sui referendum. Conviene quindi concentrarsi sul cuore della sfida: il raggiungimento del quorum.

Non è una novità visto che sempre, nei referendum abrogativi di norme e leggi ordinarie, questo è il primo ostacolo da superare. Direi l’unico nel nostro caso, perché sono convinto che, superata quella asticella, il numero dei Sì seppellirà quello dei No. Se la natura della contesa non fosse chiara, ci hanno pensato massimi esponenti delle istituzioni, del governo e dei partiti che lo compongono e lo sostengono a renderla esplicita con i loro insistenti inviti a non andare a votare, rivelando così, se non la convinzione, certamente il diffuso timore che nella contrapposizione fra Sì e No uscirebbero perdenti.

L’argomentazione che viene addotta è che la previsione di un quorum di partecipanti al voto per renderlo valido (art.75, quarto comma, Cost.), renderebbe per ciò stesso l’astensione una scelta non solo possibile, ma addirittura considerata dalla Carta costituzionale allo stesso livello della partecipazione al voto. La qual cosa non corrisponde a verità. L’articolo 48 della Carta, nel suo secondo comma, afferma che l’esercizio del voto costituisce un “dovere civico”. E’ vero che la sottrazione a questo dovere da parte del singolo cittadino non è più perseguibile a termini di legge, visto che le norme sanzionatorie nei confronti dei non votanti sono state abolite nel 1993, ma qui emerge con nettezza, e dovremmo cogliere l’occasione per sottolinearla, la diversa concezione della libertà che separa la destra dalla sinistra. Per la prima libertà è fare ciò che si vuole, per la seconda è non calpestare la libertà altrui e soprattutto non fare deperire quel bene comune, faticosamente conquistato, che si chiama democrazia, che non sta in piedi senza partecipazione.

Per questo il diritto di voto per tutte e per tutti, conquistato, nel nostro caso, grazie alla Resistenza e alla Costituzione che ne seguì, costituisce un dovere civico, il cui non esercizio svuota il sistema democratico della sua sostanza, ovvero l’appartenenza della sovranità al popolo. Il che è tanto più vero nel caso di una consultazione referendaria, espressione di democrazia diretta prevista dalla nostra Costituzione, seppure solo nella forma di un referendum abrogativo.

Il voto cambia immediatamente la legislazione esistente. E qui emerge ancora una diversità abissale con la destra per la quale la sovranità si ridurrebbe all’elezione diretta di un premier. In questo senso il voto referendario è anche un antidoto messo in pratica ai disegni di premierato, o di legge elettorale con premio di maggioranza, che animano le destre al potere.

Naturalmente va anche ricordato che la non punibilità dell’astensione dal voto riguarda il singolo cittadino. Il discorso cambia se invece, come succede in questi giorni, siamo di fronte a “un pubblico ufficiale” o chiunque investito di pubblico potere che invita a non votare. Questo comportamento è punibile in base al Testo unico delle leggi elettorali del 1948, tuttora in vigore, e richiamato esplicitamente nella legge sul referendum del 1970, con una reclusione da sei mesi a tre anni.

Qualcuno dirà che siamo nel solito caso di norme esistenti ma non applicate. Vero, e nessuno intende mettere le manette a Ignazio La Russa o chi per lui, ma nemmeno accettare che del tutto tranquillamente le alte cariche dello Stato ignorino le normative vigenti che regolano il loro comportamento e le loro responsabilità.

Il raggiungimento del quorum non solo permetterebbe di tutelare diritti nel tempo smantellati con responsabilità non unicamente delle destre, ma anche di respingere un atteggiamento restrittivo nei confronti del ricorso al referendum, tanto più grave quanto maggiore è l’invasione del governo nelle potestà legislative di un Parlamento – peraltro eletto con una legge elettorale con profili di incostituzionalità – e il suo attacco nei confronti della Magistratura.

In questo quadro segnato da una pesante involuzione democratica, la difesa e l’esercizio di strumenti di democrazia diretta è indispensabile per invertire la china autoritaria. Un’interpretazione restrittiva rispetto all’istituto referendario che si è manifestata anche da parte della Corte Costituzionale, decidendo di respingere con motivazioni francamente inconsistenti la richiesta (sostenuta da un milione e 300mila firme) di referendum contro la legge sull’autonomia differenziata che, per il dibattito che aveva suscitato nel paese e la sua capacità di convinzione anche tra gli elettori delle destre, sarebbe stato un ottimo traino per la partecipazione al voto referendario.

A chi ha scritto che i quesiti referendari porterebbero a risultati opposti a quelli dichiarati, basterebbe rispondere che la stessa Consulta li ha considerati congrui.

Voteremo Sì, quindi, a tutti e cinque i referendum, e non scegliendo ‘à la carte’, perché insieme tracciano un arco di diritti che uniscono la cittadinanza alla dignità del lavoro.