Meno auto più carri armati. Lo spirito dei tempi malati che viviamo sta dando il colpo di grazia al settore dell’automotive, già terremotato da un calo delle vendite che ha provocato più di una crisi. L’ultima notizia, quella della cessione da parte del gigante teutonico Rheinmetall del settore civile legato all’auto per potenziare quello della difesa, rischia di provocare uno tsunami. La vendita al miglior offerente riguarda infatti circa 40 stabilimenti e centri di ricerca fra Europa, Nord America, Cina e Giappone. In totale oltre 10mila addetti, di cui 430 in Italia nei siti Pierburg Pump Technology di Livorno, Torino e Lanciano, specializzati in pompe di alimentazione, e con due team di giovani ingegneri impegnati nel settore ricerca e sviluppo per l’automatizzazione e il miglioramento delle linee di produzione.

Nello stabilimento labronico di via Orlando lavorano 245 addetti. Denise Grieco è una di questi, arrivata nel 2001, appena prima del passaggio della fabbrica a Pierburg. “Ora vogliamo certezze per il futuro – avverte subito la rappresentante sindacale della Fiom Cgil – il nuovo acquirente dovrà garantire investimenti, clausole anti-delocalizzazione, e presentare piani industriali di rilancio e sviluppo sul territorio. Nessun posto di lavoro deve essere sacrificato. E bisogna tener conto anche di un indotto che impiega altre lavoratrici e lavoratori, ditte esterne che si occupano di manutenzione, pulizia, mensa, del magazzino. Famiglie che devono essere tutelate”.

Il caso Gkn non è certo sfuggito alle tute blu di Livorno, già scottate negli ultimi anni dalla chiusura di Trw e dai periodici problemi della Magna di Guasticce, solo per restare al settore automotive. “Se chiudesse Pierburg – riflette preoccupata Grieco – il nostro problema non sarebbe solo quello di essere reimpiegati. In realtà non sapremmo neppure a chi inviare i curriculum, perché la nostra è una delle ultime fabbriche della provincia”. Una crisi industriale che attraversa l’intera penisola e ferisce territori su territori.

Un passo indietro. “Fino al 30 aprile – riassume Grieco – la nostra preoccupazione, anche dal punto di vista etico, era quella di un’eventuale riconversione alla produzione di armi, un business che dalla guerra in Ucraina sembra aver preso il sopravvento. Poi è arrivata la notizia che saremmo stati venduti insieme a tutti gli stabilimenti del gruppo che non fanno parte della difesa, esclusi quelli tedeschi già riconvertiti”.

Piove sul bagnato, visti i problemi del settore. “L’automotive è in crisi. Noi abbiamo ammortizzatori sociali aperti da quasi un anno, siamo in solidarietà. E il 30 giugno ci sarà sicuramente una proroga. In azienda ci sono una quindicina di lavoratori in staff leasing. Gli ultimi tempi sono stati un susseguirsi di complicazioni per il settore: il ‘dieselgate’ nel 2019, poi la pandemia, e infine la scelta dei motori elettrici per garantire la transizione ecologica, peccato che il passaggio all’elettrico non sia mai decollato. Del resto mancano le colonnine di ricarica e i prezzi delle auto full electric sono folli. Per giunta più del 70% della nostra produzione è sempre stata legata a Stellantis, da anni in crisi profonda”.

Non è finita, nel quaderno delle doglianze ci sono altre pagine, ad esempio il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, sul quale è in corso una mobilitazione con ripetuti scioperi nazionali.

Grieco sottolinea come gli stipendi non reggano il passo con l’inflazione, e per chi è in solidarietà arrivare alla fine del mese diventa complicato. “Quando se ne discute faccio sempre l’esempio dell’assicurazione dell’auto o dello scooter. Se la compagnia assicuratrice ti avverte che devi pagare cento euro in più, non hai voce in capitolo, devi rinnovare e subisci. Ma il tuo salario non aumenta in proporzione”.

La storia della Pierburg di Livorno è quella di uno stabilimento all’avanguardia, che investe sia nel ‘capitale umano’ che nei macchinari. “I tedeschi non hanno badato a spese, hanno fatto miglioramenti strutturali e ambientali. Nel 2011 sono state introdotte nuove linee produttive, è stato ampliato l’organico. Dalle pompe di alimentazione per motori termici, quelle dell’olio per capirci, ci siamo reinventati anche per sviluppare prodotti diversi, con reparti ingegneristici di ricerca. Era stata appena messa in funzione una linea nuova con un investimento da 3 milioni di euro, nulla ci faceva pensare che una multinazionale del genere avesse intenzione di cederci. La notizia ci è caduta addosso come un cataclisma”.

I sindacati e le istituzioni locali parlano a una voce sola, “la fabbrica e le sue produzioni devono essere difese”. Ma il futuro è un’incognita. “Dopo ventiquattro anni, tante e tanti di noi non sono più giovanissimi, chi ha lavorato tanto tempo in uno stabilimento metalmeccanico sa di che cosa sto parlando, iniziano gli acciacchi, i doloretti. La deindustrializzazione di un territorio riguarda persone in carne e ossa, ci sono famiglie intere in questo stabilimento, marito e moglie, fratelli e anche figli. Dobbiamo lottare”.