La conversione in legge del Decreto Pa 25/2025, presentata dal governo come provvedimento che sblocca stipendi e assunzioni, in realtà ha molte ombre e solo alcune luci.

E’ indubbio che introduce novità destinate ad incidere profondamente sull’organizzazione del lavoro pubblico, sulle modalità di accesso alla Pubblica amministrazione e sul futuro delle relazioni sindacali, ma nonostante l’obiettivo dichiarato sia quello di modernizzare la macchina amministrativa, desta preoccupazioni su più fronti: dall’indebolimento della contrattazione collettiva al rischio di disomogeneità nei trattamenti economici tra enti e territori.

La legge permetterebbe ai “comuni virtuosi” (cioè in equilibrio di bilancio e con indicatori positivi di performance) di stanziare risorse aggiuntive per i dipendenti, incrementando il fondo delle risorse decentrate, in deroga ai limiti precedenti. Nonostante l’apparente opportunità offerta dal decreto, lo scenario che si profila è però quello di un equilibrio difficile tra premialità e coesione: restano esclusi dall’eventuale incremento salariale i dipendenti dei Comuni in difficoltà (localizzati soprattutto al Sud), i dipendenti delle Comunità montane, delle Unioni di Comuni, i dipendenti appartenenti a Camere di commercio ed Enti regionali.

L’entrata in vigore della legge, cronologicamente, si sovrappone alle trattative per il rinnovo del Contratto collettivo nazionale delle Funzioni locali. In questi tavoli Cgil e Uil sono state molto critiche nei confronti delle proposte del governo, che prospettava aumenti irrisori rispetto all’inflazione.

Durante il tavolo di confronto del 22 maggio scorso, il presidente dell’Aran, Naddeo, ha utilizzato l’entrata in vigore della nuova legge per spingere alla firma del contratto, sostenendo implicitamente che l’incremento salariale che non arriva dal contratto potrebbe arrivare dal salario accessorio. Quest’idea è molto pericolosa perché toglie valore alla contrattazione di primo livello e mina l’importanza del contratto collettivo nazionale. Quello delle Funzioni locali è attualmente in fase di rinnovo e con le trattative ancora in stallo, proprio in relazione agli aumenti salariali.

Per contro, l’autonomia premiale concessa ai Comuni dalla nuova legge può incentivare una frammentazione del trattamento economico del personale pubblico, penalizzando gli enti meno dotati di risorse e creando disparità tra lavoratori. Il rischio è che il salario accessorio venga utilizzato non come strumento di valorizzazione condivisa e negoziata, ma come leva discrezionale da parte delle amministrazioni locali, creando un sistema a geometria variabile, in cui i lavoratori di enti ricchi vengono premiati e quelli di enti in difficoltà restano esclusi da ogni valorizzazione.

La legge coinvolge anche le modalità di accesso alla Pubblica amministrazione. Viene confermata la volontà di semplificare, digitalizzare e centralizzare le procedure concorsuali: ma davvero si semplificheranno?

Viene prorogata fino al 31 dicembre 2026 la validità delle graduatorie dei concorsi già approvati e in vigore alla data del 15 marzo 2025, a questo si aggiunge la fine del numero limite per gli idonei, un segnale atteso da migliaia di persone e misura che mira a evitare lo spreco di risorse e garantire continuità nell’accesso, ma che va accompagnata da piani di assunzione concreti e finanziati.

Un capitolo importante è rappresentato dalle stabilizzazioni per chi ha 36 mesi di servizio maturati negli otto anni precedenti all’uscita del bando di stabilizzazione, a condizione che l’assunzione a tempo determinato sia avvenuta con procedure concorsuali conformi ai principi di trasparenza e merito.

Maggiori perplessità e rischi destano invece le assunzioni a tempo determinato con contratto di apprendistato di diplomati tecnici, nonché la quota da destinare a neo laureati o studenti under 24 che saranno impiegati con contratto di formazione-lavoro.

La legge introduce anche modifiche ai meccanismi di mobilità volontaria e intercompartimentale, semplificandone le procedure: si rafforza la possibilità di utilizzare la mobilità per colmare carenze di organico, ma anche qui manca una cornice unitaria di garanzia per i lavoratori coinvolti.

La legge quindi, mentre tenta di modernizzare l’accesso alla Pubblica amministrazione e premiare le amministrazioni virtuose, lascia irrisolti alcuni nodi centrali per la tenuta del sistema pubblico: il ruolo della contrattazione collettiva, la coesione tra enti, la riduzione del precariato e il rispetto delle professionalità esistenti.

La Cgil dovrà vigilare sull’attuazione della nuova legge, pretendere spazi di partecipazione reale, e riportare al centro della discussione un’idea di Pubblica amministrazione come bene comune, basata su diritti, equità e qualità del lavoro.