
Da Comiso a Sarajevo, dalla Palestina al Mediterraneo: non c’è lotta per la pace e contro il razzismo che non l’abbia vista protagonista, con passione, intelligenza e umanità. Raffaella Bolini, responsabile delle relazioni internazionali dell’Arci, fa parte del Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale, del Comitato esecutivo della Rete Euromed per i Diritti umani, del Board della rete europea Solidar, del comitato promotore dell’Altersummit, ed è vicepresidente del Forum civico europeo.
Il 21 giugno saremo in piazza, a Roma, contro guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo. Più di mille sigle in 18 paesi, oltre 400 in Italia, reti, organizzazioni sociali, sindacali e politiche hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea #StopRearmEurope (https://stoprearm.org/).
“Fra pochi giorni, all’Aja in Olanda, i paesi europei diranno di sì alla Nato che chiede di armarsi fino ai denti e prepararsi a combattere. Dovremo spendere il 5% del Pil in armi, rafforzare del 400% la difesa aerea e missilistica, produrre migliaia di carri armati e milioni di proiettili. Naturalmente preparare le persone alla guerra, far entrare l’esercito nelle scuole, aumentare i soldati, militarizzare cultura e società. Ma la maggioranza del popolo italiano, nonostante la propaganda guerrafondaia – lo dicono tutti i sondaggi – continua ad essere contro la guerra. Dobbiamo fermarli. Invitiamo tutte e tutti a non lasciare niente di intentato per preparare sui territori la partecipazione alla manifestazione nazionale “Stop Rearm Europe – No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo – Per Gaza” che si terrà a Roma il 21 giugno, alla vigilia del vertice della Nato. Ne va del nostro futuro”.
Sono scesi in piazza per Gaza anche il Pd, i Cinque stelle, Avs, quasi tutta l’opposizione parlamentare che ha presentato una mozione unitaria di condanna a Israele. Un passo avanti, non trovi?
“Le carovane che sono arrivate al valico di Rafah hanno avuto un peso. Parlamentari, giuristi, giornalisti sono partiti con Aoi, Arci, AssopacePalestina per denunciare la carneficina in corso e portare aiuto al popolo palestinese. Condividere esperienze così forti cementa relazioni, connette la politica istituzionale con chi si impegna per salvare vite umane nella Striscia di Gaza. Questo paese, con il movimento pacifista più grande del mondo, meritava da tempo una grande manifestazione per denunciare l’orrore che sta avvenendo, ed era assurdo non essere ancora riusciti ad organizzarla a causa dei distinguo sull’uso delle parole e perfino sulle virgole. La piazza del 7 giugno ha anche dimostrato che la società civile è più avanti della politica. C’è un sentimento diffuso di dolore, orrore, smarrimento, indignazione davanti alle immagini che arrivano da molti mesi dalla Palestina. Dopo questa manifestazione, gli stessi partiti non possono tornare sui loro passi, ed è stata un bene la mozione unitaria. Penso che sia cambiato il clima, la tragedia è talmente gigantesca, con i bombardamenti e il blocco degli aiuti umanitari, con le dichiarazioni terrificanti dei politici israeliani che giustificano l’ingiustificabile come uccidere indiscriminatamente donne, vecchi, bambini, con Netanyahu che sta annettendo la Cisgiordania, che c’è stato un salto. Anche i più timidi, dopo infiniti balbettii, alla fine hanno detto una cosa giusta. Insomma è scattato qualcosa, c’è stato un ‘clic’. Certe volte nella storia succede. Come quando il mondo disse finalmente basta all’apartheid in Sudafrica”.
Solo quattro parole illustrano la manifestazione del 21 giugno: stop guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo.
“A Gaza si sta consumando un terrificante crimine contro l’umanità. Per giunta viene apertamente rivendicato da Israele. Certo, contano più i fatti delle parole, ma anche queste ultime hanno la loro importanza. Rivendicare un genocidio è un salto dentro la barbarie. In piazza avremo tutti il cuore rivolto verso Gaza, ed è importante dire che in Palestina muore l’Europa, dove sta prendendo sempre più forza un’estrema destra guerrafondaia e priva di ogni scrupolo morale. La Striscia è il laboratorio realizzato delle pulsioni più profonde della destra mondiale, lì fanno quello che predicano. I governanti europei stanno dicendo esplicitamente che dobbiamo prepararci a combattere, perché la Russia è pronta a invaderci… Non ci sono solo gli 800 miliardi che la Commissione Ue chiede di investire in armamenti, non è solo il 5% del Pil che ci chiede la Nato per la cosiddetta difesa (già il 2% era uno scandalo), è proprio un cambio di paradigma. Mi è venuto il mal di stomaco quando ho letto la risoluzione europea approvata a Strasburgo. C’è scritto che la Russia è il maggior pericolo mai visto nel corso della storia, che la Cina è il nemico globale. Così ci dicono che bisogna attrezzarsi alla guerra, organizzare corsi di difesa militare fra i giovani e far entrare l’esercito nelle scuole. Il premier inglese Starmer, che non fa parte della Ue ma è tornato ad avvicinarsi a Bruxelles, ha annunciato al suo paese la costruzione di dodici nuovi sottomarini nucleari e 15 miliardi di sterline per rinnovare l’arsenale atomico, ha spiegato che è finita la pace, che dobbiamo prepararci alla terza guerra mondiale. Abominevole. Questi in guerra ci portano davvero, a casa nostra”.
Si trincerano dietro un detto latino della Roma imperiale: si vis pacem, para bellum.
“Loro dicono se vuoi la pace prepara la guerra, noi rispondiamo se vuoi la pace prepara la pace. Ma la realtà è che preparando la guerra, la faranno scoppiare. Se ti poni in una dimensione offensiva, aggressiva, militarizzata e militarista, dove il tuo potenziale o reale avversario percepisce di te solo l’elemento della minaccia, la possibilità che reagisca c’è. Invece dovremmo fare il contrario: sono passati cinquant’anni dagli accordi di Helsinki, era il 1975, il muro di Berlino era bello solido, eppure i capi di Stato e di governo europei si fecero sentire con l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, spiegando a chiare lettere che la guerra nucleare doveva essere scongiurata. Bisogna abbassare il livello di aggressività, da tutte le parti, per essere più sicuri. Ora invece nella risoluzione europea c’è perfino scritto che l’Ucraina può vincere militarmente, sul campo di battaglia…”.
In tempi ancora non sospetti Papa Francesco coniò l’immagine, quantomai realistica, della terza guerra mondiale a pezzi.
“Oggi siamo al passo successivo, la guerra tende a unificarsi. La Germania ha deciso di dotare l’Ucraina di missili a lungo raggio, che possono arrivare fino a Mosca, è notizia di pochi giorni fa. Quasi inutile dire che così la pace si allontana, ancora di più. Putin l’ha presa naturalmente come una provocazione. E sia chiaro, non ho alcuna intenzione di difendere un dittatore come Putin, ma il modo peggiore per affrontarlo è proprio quello di non dargli politicamente vie di uscita. Nel paese della commissaria Kaja Kallas, l’Estonia, vogliono togliere l’insegnamento del russo come seconda lingua nelle scuole, dopo l’estone. Ma quasi un terzo di loro sono di origine russa. Questa stessa decisione, quando fu presa in Ucraina, contribuì a creare le condizioni che hanno poi portato all’occupazione delle regioni confinanti con la Russia. Il riarmo si accompagna al tentativo di creare un clima generale di panico, diffondendo così un sentimento guerrafondaio. Questo è un problema, ed è anche il motivo per cui riteniamo sia necessaria una presa di posizione europea all’altezza della situazione. Una sensibilizzazione comune per debellare il virus della paura e dell’insicurezza. Riarmarsi non serve a difendersi, dobbiamo far capire che la militarizzazione porta anche, quasi sempre, al restringimento delle libertà democratiche. L’obiettivo di chi propugna politiche guerrafondaie è quello di avere un’opinione pubblica impaurita, silente, che accetta qualsiasi politica di riarmo”.
Sotto le bombe sparisce l’umanità, vengono cancellati i diritti, anche quelli più elementari.
“Con la manifestazione del 21 giugno stiamo cercando di ricostruire una convergenza che non si limiti alle associazioni e alle reti pacifiste, proprio perché il riarmo smantella il welfare, blocca la transizione ecologica ed energetica, si appropria dei finanziamenti per le spese sociali. La guerra uccide anche la democrazia e le libertà, porta invariabilmente alla repressione di chi non è d’accordo. Fra i 400 aderenti che abbiamo ad oggi a StopRearmEurope ci sono realtà femministe, ecologiste, gruppi impegnati nella difesa dei diritti sociali, umani, chi si occupa di abitare, di reddito, le parrocchie e gli insegnanti, ognuno con i propri appelli, contenuti, bandiere”.
Possibile non capire che investire sulla pace conviene sempre?
“E’ scientificamente provato che la produzione di armamenti dà grandi profitti ma abbassa i tassi di occupazione. In dieci anni negli Stati Uniti la riconversione in chiave bellica delle industrie civili, penso all’automotive, ha tolto tanti posti di lavoro. L’Europa avrebbe dovuto imparare questa lezione, invece si è suicidata. Nello scacchiere internazionale non ha agito per porre fine il prima possibile alla guerra russo-ucraina, ha fatto l’esatto opposto, sabotando i negoziati che erano stati subito avviati per far durare il conflitto bellico il meno possibile. Il risultato è che, con il cambio dell’amministrazione Usa, Donald Trump ha finito per ricattare l’Ucraina per farsi consegnare le terre rare. L’Europa al tempo stesso ha continuato ad essere complice dell’Israele di Netanyahu, armandola. Una Unione europea che si è posta dalla parte sbagliata della storia. Anche per questo c’è bisogno di ricostruire una dimensione europea dei movimenti sociali. Nessuno si salva da solo, in giro per il vecchio continente stanno cominciando a capirlo. Il 21 giugno saremo in piazza per dire con forza che alimentare la guerra, alimentare tutte le guerre, è un crimine”.