Compagne e compagni di Filcams, Filctem, Fillea, Filt, Flai, Flc, Fp, Slc, Spi di Emilia Romagna, Lombardia, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto hanno partecipato, nel pomeriggio di giovedì 12 giugno, alla videoriunione del coordinamento nazionale di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale. Una prima valutazione, quasi “a caldo”, dell’esito del voto referendario. Una discussione densa e appassionata, come testimoniano i 17 interventi oltre all’introduzione e alle conclusioni del referente nazionale Enzo Greco.

Fin dall’introduzione e in tutti gli interventi non ci siamo nascosti che l’esito del voto è stato negativo. Siamo molto lontani dal raggiungimento del quorum. Il nostro obiettivo non era l’attivazione di un fondamentale strumento di democrazia diretta, ma ottenere, con il quorum e la vittoria del Sì, l’abrogazione di leggi che hanno gravemente peggiorato i diritti del lavoro.

Sapevamo fin dall’inizio quanto sarebbe stato difficile riportare al voto quel crescente “astensionismo di classe” che si è determinato nel nostro paese, ma contavamo sulla “appetibilità” di un voto non di delega, ma di decisione diretta sulle proprie condizioni di vita. Il silenzio dei media, la campagna astensionista del governo e della maggioranza, la loro volontà di sfuggire al merito e di “politicizzare” il significato del voto, la stessa speculare indicazione di una parte del centro-sinistra, non hanno certo favorito la partecipazione.

Ma il tema della democrazia, della disaffezione e disillusione dell’elettorato popolare, della sfiducia nell’azione collettiva, è ben più profondo e richiede anche a noi un ripensamento della nostra azione e del nostro radicamento nei luoghi di lavoro e nel territorio. Così come, nella valorizzazione dell’impegno straordinario profuso da tutta l’organizzazione, dobbiamo analizzare freddamente i limiti del nostro insediamento e della nostra capacità di interlocuzione sociale, che si sono certamente allargati ma che sono risultati ampiamente insufficienti. Né possiamo accontentarci di un numero di votanti certamente molto più ampio della nostra base associativa, paragonabile al voto ricevuto dal centrodestra e dalle stesse forze politiche che hanno sostenuto il Sì ai quesiti.

Un grave campanello d’allarme deriva, poi, dal risultato del referendum sulla cittadinanza. Che oltre un terzo degli elettori che hanno detto Sì agli altri quesiti abbiano invece votato No è un segnale allarmante della penetrazione della cultura della destra anche tra il nostro popolo. Dalla California, all’Irlanda, ai paesi dell’est europeo, al nostro stesso paese le migrazioni – e il nesso migrazioni-guerre, figlio della stessa logica neocoloniale e neoimperiale – è e sarà un tema centrale e strutturale del confronto-scontro politico interno e globale. Ci sembra che non ce ne sia ancora una piena consapevolezza nemmeno nel nostro gruppo dirigente, così come è sicuramente insufficiente la capacità di interloquire con le seconde generazioni – che pure si sono positivamente mobilitate per questo referendum – e con lavoratrici e lavoratori di origine straniera anche, quando è necessario, in un confronto “serrato” con gli autoctoni per costruire un nuovo blocco di classe interetnico.

Ma, oltre alle analisi, la riunione ha ragionato sulle conseguenze e sul da farsi. Se da un lato governo e padronato ne escono oggettivamente rafforzati, i temi della lotta alla precarietà, della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, della cittadinanza, sono ritornati all’attenzione dell’opinione pubblica e sta a noi evitare che tornino in secondo piano, o che gli stessi avanzamenti nelle posizioni dei partiti di centro-sinistra vengano “riassorbiti”.

I referendum non sono l’ultima spiaggia. Diversamente da precedenti esperienze, dobbiamo dare continuità alla nostra azione “generale” su questi temi, evitando un contraccolpo di “chiusura” nelle categorie e rafforzando una capacità di coordinamento e direzione confederale delle vertenze contrattuali e sui diritti, recuperando per via conflittuale e contrattuale, anche con una nuova “vertenza generale”, diritti sul lavoro e livelli salariali.

L’organizzazione, pur con limiti e aree di difficoltà, ha dimostrato di far proprio un livello di iniziativa confederale. Così come va data maggiore coerenza e continuità alle alleanze sociali – a partire dal movimento contro le guerre, il genocidio e il riarmo e la manifestazione del 21 giugno a Roma – e va capitalizzata la credibilità e il rapporto costruito con le generazioni più giovani.

Per far questo non ci sembra opportuno un congresso anticipato, né tanto meno una qualche conta interna tra “chi l’aveva detto prima” e chi era più convinto sulla campagna referendaria. Utilissima, invece, una fase di discussione, a partire dalle assemblee generali categoriali territoriali, sulla conferma della nostra autonomia strategica, sulla partecipazione, sulla coerenza della vita democratica e plurale nella nostra organizzazione, sulla piena traduzione in piattaforme sindacali dei contenuti di questa campagna referendaria.