
Le nuove armi termonucleari Usa B61-12 sono anche a Ghedi. Anziché bandirle, la Regione Lombardia prepara la cittadinanza alla guerra nucleare.
Viviamo un momento drammatico. Siamo di fronte ad un pericoloso scivolamento verso una guerra mondiale globale, e non più a pezzi, che rischia di terminare in una apocalisse nucleare.
Alla distensione ed al disarmo si è sostituita la convinzione che la guerra sia uno strumento legittimo ed efficace per la risoluzione delle controversie internazionali, e per affermare con le armi interessi neocoloniali. Di fronte alla resistenza mostrata dalla maggioranza dei cittadini, viene dispiegata una sofisticata propaganda che permea tutti i tradizionali mass-media, i nuovi social, scuole e università.
Il “Complesso Militare Industriale Scientifico Politico” si va affermando come nuovo attore globale, e condiziona le scelte dei governanti demolendo la democrazia. Già Eisenhower, generale e presidente degli Usa, aveva messo in guardia dall’affermarsi di questo Complesso, e Papa Francesco costantemente ci ha ricordato come le guerre abbiano radici anche nella produzione di armi nelle fabbriche di morte.
In tutte le epoche l’uomo ha combattuto guerre sanguinose, ma dalla nascita del sistema di produzione capitalistico le guerre sono diventate vere macellerie industriali in cui non vi è più alcuna distinzione tra combattenti e civili, anche bambini e donne. Ingenti risorse sono sempre più dirottate verso il settore bellico, e il sistema economico-finanziario dei Paesi più importanti diventa sempre più dipendente dalla “economia militare”. In particolare il programma ReArm Europe, con la messa a disposizione di 800 miliardi, declina nel nostro continente una pericolosa accelerazione della corsa agli armamenti. Si vuole passare decisamente dal Welfare State al Warfare State. Per favorire il dirottamento delle risorse nello sforzo bellico si introducono nuovi strumenti finanziari, fino a voler sedurre o costringere i risparmiatori a “investire” i loro risparmi in armi.
Questo colossale riarmo viene giustificato con false motivazioni: la Russia vuole invadere l’Europa, la spesa militare Ue è inferiore a quella russa, gli Usa abbandoneranno la Nato lasciando l’Europa senza protezione, ecc.. E’ possibile smontare ciascuna di queste motivazioni, ma basti dire che la Ue nel 2023 spendeva, secondo dati Sipri, il doppio di quanto non spendesse la Russia, tre volte tanto considerando anche la Gran Bretagna.
Il sistema globale fondato sul diritto internazionale sembra essere andato in frantumi, esautorando l’Onu dalla sua funzione primaria di “salvare le generazioni future dal flagello della guerra che già per due volte nel corso del XX secolo ha portato indicibili afflizioni all’umanità”. Lo stesso “ius in bello” previsto per tutelare la popolazione civile e risparmiare le strutture non militari sembra essere stato buttato nel cestino.
Allo stesso modo le dichiarazioni sui diritti umani e politici sembrano diventate carta straccia di fronte alla modalità con cui si gestiscono i flussi migratori, o di fronte al vero e proprio genocidio a Gaza, o ai massacri di civili come in Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo e altrove.
Le leadership politiche sono responsabili della risposta bellica ai conflitti economici e sociali che si accompagnano alla globalizzazione. Lo stesso accade sulle questioni ambientali: il treno della produzione sembra lanciato a tutta velocità su un binario morto, oltre il quale vi sarà la catastrofe climatica, l’avvelenamento e la contaminazione irreversibili.
Il tempo che ci rimane per invertire questa situazione è limitato. E’ necessario un nuovo costituzionalismo internazionale che riesca a imbrigliare lo strapotere economico-finanziario dei “mercati”, a favore di un mondo costruito sulla fratellanza umana, sulla eguaglianza, sul diritto e sulla pace. Dobbiamo mettere in discussione il sistema economico che porta alla guerra.
Iniziative contro le armi nucleari
Nell’ambito delle iniziative in corso, il 25 gennaio scorso abbiamo organizzato, in cooperazione con “Donne e Uomini Contro la Guerra” di Brescia e Centro Sociale “28 maggio” di Rovato, presso la Camera del Lavoro di Brescia, un incontro pubblico dal titolo: “Pastiglie allo iodio o eliminazione degli ordigni nucleari a Ghedi?”, sentendo come relatori il chimico-fisico Mario Agostinelli e il medico Vittorio Agnoletto. La domanda che ponevamo è semplice: cosa significa fare prevenzione per davvero contro esplosioni nucleari e radiazioni ionizzanti? La si fa preparando la distribuzione di pastiglie allo ioduro di potassio, o rispedendo al mittente le armi termonucleari presenti a Ghedi (e ad Aviano, in provincia di Pordenone)?
Ovviamente sappiamo che la risposta della stragrande maggioranza dei cittadini è la seconda, come dimostrano i sondaggi del recente passato sulla presenza di armi nucleari in Italia, e sulla necessità che anche il nostro Paese sottoscriva e ratifichi il Tpnw, Trattato di proibizione delle armi nucleari, approvato dalla Assemblea Onu nel luglio 2017 e diventato operativo nel gennaio 2021.
Per questo abbiamo poi inviato una mail a tutti i 1.500 Comuni lombardi, mettendoli al corrente delle recenti disposizioni prese dalla Regione Lombardia in merito a possibili situazioni di contaminazione diffusa di tipo nucleare e radiologico non chiaramente circoscrivibile (nella Delibera regionale 7670 del 28 dicembre 2022 si citano per esempio: atto terroristico, lavorazione accidentale o incendio di sorgenti, spargimento di polveri contaminate, presenza di sorgenti di alfa o beta emettitori).
Richiamavamo, poi, i quattro allegati alla Delibera che riguardano la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, le indicazioni per il campionamento di matrici alimentari di origine vegetale e acque, la protezione e il controllo degli animali, la gestione ospedaliera di persone esposte a irradiazioni e/o contaminazioni acute, i ruoli di Ats, Asst, ospedali, Arpa in caso di emergenza. Sottolineavamo come, in una successiva Delibera dell’ottobre 2023, numero 1237, sia stato deciso di istituire trenta microdepositi sul territorio regionale, dedicati allo stoccaggio di milioni di compresse di ioduro di potassio. Lo ioduro di potassio dovrebbe proteggere la tiroide dall’assorbimento di iodio radioattivo emesso in seguito a un incidente nucleare. Ma tutti sappiamo che le conseguenze sul corpo umano in caso di un’esplosione nucleare non si fermano certo alla tiroide!
Ricordavamo, infine, che a novembre 2024, la Direzione generale Welfare della Lombardia ha organizzato il corso “Procedure regionali per le emergenze radiologiche e nucleari”, rivolto principalmente agli operatori di Regione, Arpa e Ats, e che varie Ats stanno organizzando sul tema corsi simili in ogni provincia. Sottolineavamo come il comunicato Arpa del 3 marzo 2022 sul monitoraggio con Isin della radioattività fosse introdotto dalla seguente affermazione: “In considerazione delle crescenti preoccupazioni per il potenziale rilascio di sostanze radioattive causate dagli scontri in Ucraina”, la stessa formulazione usata in un Avviso ai cittadini della Regione Lombardia del 13 maggio 2024.
Esprimevamo come per noi sia doveroso, corretto e utile che le istituzioni si organizzino per tutelare la popolazione da qualunque rischio sanitario, ma facevamo rilevare come non fosse casuale che tra le Ats e Asl maggiormente attive nell’organizzare corsi vi fosse quella di Brescia nel cui territorio vi è la aerobase militare di Ghedi, nella quale vi sono una ventina di bombe termonucleari tattiche statunitensi B61-12 che potrebbero diventare un logico obiettivo in caso di guerra.
Il 2 ottobre 2023, ventidue attivisti hanno presentato una denuncia penale contro la presenza di armi nucleari in Italia, anche per scongiurare la possibilità che piloti italiani su cacciabombardieri italiani portassero la devastazione atomica contro città ritenute ostili e contro l’intero creato. Il procedimento è ancora pendente in fase di reclamo. Se il nostro reclamo fosse respinto, potremmo essere chiamati a pagare una somma rilevante.
Con gli attivisti di Brescia manteniamo la pressione sulla Prefettura affinché si predisponga un articolato Piano di emergenza nucleare, in relazione della presenza di armi termonucleari a Ghedi. Secondo uno studio di Greenpeace, infatti, in caso di “incidente nucleare” a Ghedi, potrebbero perdere la vita tra due e dieci milioni di cittadini. E’ evidente che le pastiglie allo ioduro di potassio non bastano, e che si devono pianificare evacuazioni di massa e interventi sanitari enormemente superiori ai normali servizi offerti.
Anche la Croce Rossa Italiana, come quella internazionale, sostiene che di fronte ad attacchi nucleari il sistema sanitario collasserebbe, e non sarebbe in grado di offrire il sostegno necessario ai sopravvissuti offesi dagli effetti delle esplosioni nucleari. Noi comunque continuiamo a sostenere che l’unica soluzione per ridurre drasticamente il pericolo di essere bersagli atomici è la rimozione delle armi termonucleari da Ghedi (e da Aviano).
In collaborazione con la Wilpf, la Chiesa Evangelica Battista-Ucebi e Ialana abbiamo tradotto in Inglese il libro “Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia”, con l’obiettivo di diffonderlo anche in altri paesi europei, in particolare quelli che hanno armi nucleari Usa sul proprio territorio: Germania, Belgio, Olanda e Turchia. Urge dunque lo sviluppo di una cooperazione internazionale su questi temi, come abbiamo anche proposto al Campo antinucleare di Lakenheath, svolto a fine aprile in Inghilterra, dove abbiamo diffuso copie del libro “Legal Opinion on the Presence of Nuclear Weapons in Italy”, suscitando un notevole interesse tra i partecipanti.