La viola non è un grande violino. È vero il contrario, il violino è una piccola viola. Un’affermazione che potrebbe far sorridere, infatti Francesco Lattuada, professore di orchestra de La Scala di Milano, sta al gioco. “Cosa è un tavolino? Un piccolo tavolo, è evidente”. Lui suona proprio la viola, e da quasi trent’anni fa parte di un’autentica istituzione come il Teatro alla Scala, per tutti semplicemente La Scala. “Il primo contratto l’ho firmato nel 1997, due anni dopo sono stato assunto in pianta stabile. Da ragazzo frequentavo il teatro per passione della lirica. Sono passato da pagare il biglietto per godermi le opere, ad essere pagato per suonarle. Niente male, non trovi?”.

Lattuada è anche un delegato sindacale della Slc Cgil di Milano. Sottolinea: “Ho sempre considerato l’impegno civile e politico parte integrante dell’essere operatore culturale. L’arte senza impegno civile è solo intrattenimento”. Parole sante, visto anche il ‘posto di lavoro’ di Lattuada. Un monumento, inaugurato nel 1778, di fronte al quale l’immenso scrittore francese Stendhal rimase a bocca aperta per essersi trovato di fronte, scrisse, “al più bel teatro del mondo, quello che dà il massimo godimento musicale. È impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo” .

Tanta acqua è passata sotto i ponti, anche La Scala nel tempo ha avuto molti restyling, l’ultimo tra il 2002 e il 2004 con un restauro conservativo, nuovi ambienti per gli artisti e un’articolata macchina scenica. In parallelo si è evoluto anche il rapporto fra il management del teatro e gli artisti. “Oggi la metà dei dipendenti è iscritta al sindacato, in tempi come questi mi sembra un risultato ragguardevole, va da sé che la Cgil resta la prima sigla sindacale”.

Come è la vita quotidiana nella cittadella scaligera? “Abbiamo orari diversi a seconda dei reparti – spiega Lattuada – la macchina de La Scala è un organismo complesso. Noi orchestrali dobbiamo arrivare alle prove con la partitura musicale già in testa, già studiata”. La programmazione e il repertorio sono variabili decisive. “Se suoniamo Rossini o Mozart il controfagotto, il clarinetto basso, le arpe, certi ottoni e anche gli archi sono ridotti. Tutti noi comunque siamo sempre a disposizione. C’è una sorta di alternanza fra ‘titolari’ e ‘riserve’”. Come nelle squadre di calcio, insomma. Lattuada annuisce: “Esatto, un musicista a disposizione deve essere pronto a entrare in palcoscenico in qualsiasi momento, naturalmente deve conosce la parte”.

La Scala di Milano è la casa dei grandi artisti. “Da qui sono passate autentiche leggende. Negli anni 60 Von Karajan era di casa, così come Bernstein, Barenboim, e poi ci sono naturalmente gli italiani: Abbado, Pollini, Desderi, Tebaldi, del Monaco, Pavarotti, Muti. L’anno scorso abbiamo avuto l’importante debutto di Kirill Petrenko, l’attuale direttore dei Berliner”.

Il villaggio scaligero conta quasi un migliaio di addetti: artisti, direttori, solisti, cast, scenografi, registi, aiuto registi, stagisti, tecnici, impiegati, operai, l’ufficio stampa, la biglietteria . “Il teatro è aperto per più di 300 giorni l’anno, solo un mese di chiusura. E tante volte abbiamo doppi o tripli spettacoli”. Lattuada è uno dei 350 dipendenti del comparto artistico di questa vera e propria istituzione che porta con sé una magia e un incanto difficili da eguagliare. Ma c’è sempre l’altra faccia della medaglia, quello che Lattuada chiama “lato oscuro della forza”. “Dio inventò la musica, il diavolo i colleghi”, scherza ma non troppo. “Ci sono frustrazioni, invidie, cattiverie, che però devono svanire come la nebbia al mattino quando si apre il sipario”.

Anche durante la pandemia La Scala è rimasta aperta, pur con tutte le difficoltà del caso, grazie a un ottimo accordo sindacale che ha salvato lavoro e stipendi. Lattuada é anche il presidente della sezione Anpi del Teatro: “Ai tempi del Covid ci siamo esibiti in streaming nel giorno della memoria con varie versioni di Bella Ciao”. Il lavoro dell’artista è faticoso, fisicamente e mentalmente, la pensione arriva prima. “Puoi suonare tre ore, oppure solo trenta secondi, di quelli che ti tolgono il fiato e poi il sonno. Nel Sigfrido di Wagner c’è un intervento solista del corno, il cosiddetto squillo che dura poco più di un minuto ma è incredibile. Ci sono cornisti, soprattutto in Germania che vivono per quel momento. Ma potrei fare altri esempi, penso all’ assolo di violoncello dell’inizio del Guglielmo Tell di Rossini. O il Lago dei Cigni di Tchajkovskij per il primo violino. Come dice mio fratello, suona anche lui in un’orchestra, sono quei soli che ti mangiamo le notti”. Preferenze? “Bach è fuori classifica. Ma la prima passione è stata Giuseppe Verdi, che per me è come lo spaghetto al pomodoro o la pizza, quando li mangi ti senti a casa. Ma non vivo in un museo, ogni volta che un’opera va in scena ci sono delle nuove sfaccettature, nuove soluzioni interpretative”. É l’incanto della musica.