
Per leggere e interpretare correttamente l’esito dell’appuntamento referendario dell’8 e 9 giugno, è innanzitutto necessario sgombrare il campo dai giudizi liquidatori e trionfalistici del centro-destra, ma anche dal politicismo di quanti nel centro-sinistra, pur non avendo promosso i referendum, hanno cercato di piegarli ad una contingente funzione anti-governativa. Non era questo l’obiettivo dei promotori dei referendum sul lavoro e sulla cittadinanza, poiché la rivendicazione dell’uguaglianza nelle condizioni di lavoro e di vita, nonché di una maggiore accoglienza degli stranieri nella nostra società, si collocava e si colloca in un orizzonte che oggettivamente trascende il quadro normativo vigente.
Pertanto, in confronto ai referendum che si sono svolti nell’ultimo ventennio nel nostro paese, il dato del 30,6% dell’elettorato che ha partecipato a questa consultazione, pur non avendo raggiunto il quorum, è tutt’altro che trascurabile.
Prendendo a riferimento i 13 milioni di voti per il Sì sui quesiti del lavoro, è inequivocabile il messaggio che è stato inviato al paese e all’insieme delle forze politiche, in particolare a quelle del centro-sinistra. Infatti, procedendo con ordine, la sollecitazione del centro-destra a disertare le urne per non raggiungere il quorum, al di là dell’apparente furbizia, non è certo un segnale di forza, bensì di una palese debolezza politica.
Sostanzialmente il modello neoliberista, che ha deregolamentato i rapporti di lavoro dal 1997 ad oggi, di fatto ha concorso ad accentuare il declino economico, sociale e culturale del nostro paese, come tutti i rapporti Istat o in chiave Ocse attestano rispetto agli indicatori salariali o della povertà lavorativa crescente, al di là della ingannevole retorica utilizzata quotidianamente da Giorgia Meloni.
Perciò i paladini del motto “le imprese devono essere lasciate libere di operare”, per permettere la crescita del paese, si sono dimostrati pavidi e incapaci nel difendere, con argomentazioni serie e fondate, un modello palesemente fallimentare in un serio confronto politico, come ha ben sottolineato l’economista Emiliano Brancaccio su il manifesto del 7 giugno. Anzi, hanno scelto deliberatamente l’oscuramento mediatico dei contenuti dei referendum, nonostante i richiami dell’Agcom.
Di conseguenza le proposte avanzate dalla Cgil non decadono, né possono essere liquidate come passatiste, ma rimangono a disposizione per le eventuali modifiche della legislazione del lavoro, qualora un quadro politico di tutt’altra natura intendesse procedere sulla base del dettato costituzionale, in particolare facendo riferimento agli articoli che nel Titolo terzo, denominato Rapporti Economici, vanno dal 35 al 47. In questa direzione la coerenza delle formazioni del centro-sinistra sarà chiamata a rispondere alla domanda sociale che si è espressa con forza nei seggi del nostro paese.
E’ stata per quanto mi riguarda, in qualità di rappresentate di lista, un’esperienza esaltante vedere nelle giornate di domenica 8 giugno e lunedì 9 giugno la impressionante partecipazione delle nuove generazioni, anche immigrati di seconda generazione, che si è riversata nei seggi della mia città. Quando, nella prima mattina di domenica, una signora mi ha detto che i suoi figli, alla prima esperienza elettorale, sarebbero andati a votare convintamente per il Sì alla cittadinanza, per darla ai loro compagni di classe o di lavoro, mi si è aperto il cuore della speranza, poiché ho compreso che il razzismo, che è stato instillato anche da chi ricopre ruoli istituzionali in questo lungo e doloroso trentennio, è già seppellito nelle menti di quanti abiteranno il prossimo futuro.