Tunisia: sono già passati 7 anni! Che cosa aspettiamo! - di Soha Ben Slama

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Sono passati sette anni dal giorno in cui il popolo tunisino è sceso in strada in un movimento di solidarietà per esprimere la sua rabbia davanti all’ingiustizia, la povertà, la disoccupazione, e la speranza di un futuro migliore.

I tunisini sono scesi ancora in strada, come ogni anno nella stessa data. Questa volta con ancora più forza. Sette anni sono troppi senza lavoro, senza vedere i progetti di sviluppo venire alla luce, a succhiare il denaro del contribuente, a ridurre il suo potere d’acquisto già in situazione precaria, tanto che anche la classe media ha raggiunto la classe povera. Sette anni sotto il regno di partiti che, dal 2011, corrompono l’economia, il tessuto sociale tunisino e i ministeri che hanno occupato e continuano ad occupare. Dove sono finite le donazioni e i prestiti dall’Europa, dall’Asia e dagli Stati Uniti?

Sette anni a distruggere le città: edifici costruiti ovunque, senza regole né servizi, ma sempre troppo costosi per le tasche dei cittadini; mentre Medine, centri storici con un ricco patrimonio architettonico abbandonato, crollano nel disinteresse totale dello Stato, in attesa degli speculatori e malgrado i continui appelli delle associazioni.
Ed ecco che la legge finanziaria 2018 getta ancora più benzina sul fuoco! Sotto la pressione del Fmi, l’aumento dell’iva sui prodotti alimentari di prima necessità, la svalutazione forzata del dinaro, il disagio sociale con l’aumento della disoccupazione, soprattutto tra i giovani, i primi sacrificati di questa “falsa rivoluzione”, tra i quali il 30% sono laureati disoccupati. Un bilancio economico catastrofico, l’inflazione galoppante, con il 50% dell’economia dominata dal settore informale, il che significa enorme evasione fiscale, una delle principali cause della bancarotta dell’economia del paese.

A stomaco vuoto, senza prospettive future, senza lavoro, senza abitazioni dignitose, senza servizi, senza passatempi: in nessun modo si può parlare di democrazia finché non c’è giustizia sociale.

Le proteste con lo slogan “Cosa stiamo aspettando!” o “fech nestanaw!” si stanno sviluppando grazie a un movimento spontaneo, pacifico e pacifista, composto per lo più da giovani, dai Fronti di Sinistra, che si è ampliato a tutti coloro che si rifiutano di continuare a pagare per tutti quelli che non pagano. Proteste, purtroppo, infiltrate e accompagnate da furti organizzati di notte, e atti di vandalismo in tutto il paese, per far passare il Fronte Popolare come responsabile.

L’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini, Ugtt, pur sostenendo le proteste contro l’alto costo della vita e la disoccupazione giovanile, deplora la presenza di teppisti e si oppone quindi alle manifestazioni notturne, e ha lanciato un ultimatum al governo per ottenere un aumento eccezionale della pensione delle famiglie bisognose e del salario minimo, ancor oggi, nel 2018, di 70, 90 e 100 dinari al mese (equivalenti a poco più di 23, 30 e 33 euro), numeri semplicemente oltraggiosi !

Questi giovani sono giustamente guidati dalla disperazione di un futuro che si è ulteriormente ridotto a causa di questa legge finanziaria 2018. Stanno protestando per se stessi, per i loro figli e persino per i figli di chi li ha picchiati davanti al parlamento. Mostrano la loro mancanza di fiducia nella classe politica. Le proteste delle ultime settimane non sono che la conseguenza della sordità del governo: la campagna “mani pulite” lanciata dall’attuale capo del governo Chahed aveva sollevato un sentimento di sollievo ed euforia, ma purtroppo si è fermata dopo le ripetute minacce ricevute, l’ultima dal partito islamista, nella coalizione di governo.

Si profilano all’orizzonte le elezioni comunali nel mese di maggio, in preparazione in tutte le regioni da molti mesi, persino da anni, per consentire una migliore partecipazione delle cittadine e dei cittadini alle loro future municipalità, il loro diritto di intervenire nelle decisioni e nelle scelte. In parallelo, stanno infuriando i dibattiti sulla legge in discussione in Parlamento sulla parità di genere nell’eredità, considerata blasfema dai sostenitori di una società patriarcale. Dopo la legge sulla discriminazione e la violenza contro le donne, e quella per il riconoscimento alla donna di scegliere il coniuge non musulmano, è il momento di porre fine all’ingiustizia di una legge “sacra” che priva le ragazze e le donne di diritti nell’eredità uguali a quelli dei loro fratelli.

Nonostante tutto, c’è sempre una nota di speranza che emerge da questa rivolta dei cittadini. Il disfattismo e il fatalismo, nemici del progresso e del futuro, non hanno posto di fronte al popolo tunisino che ha ripetutamente dimostrato di avere sempre un asso nella manica per cavarsela.

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