Dopo il 4 marzo - di Cesare Caiazza

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In tantissimi, dopo l’assemblea del Brancaccio del 21 giugno, avevamo sperato nella “volta buona” rispetto ad un concreto e realistico progetto di riunificazione e sviluppo di una Sinistra, non elitaria, di testimonianza e residuale, bensì di massa, capace finalmente di tornare ad “organizzare”, per poi rappresentare, la classe lavoratrice e i ceti sociali deboli. Una Sinistra in grado di essere davvero erede della centenaria storia socialista e comunista, delle lotte del movimento operaio; in grado di ripartire dall’esito del referendum costituzionale e quindi dai valori e dai principi della Costituzione italiana, fondata sul lavoro, nata dalla Resistenza antifascista e dalla lotta di Liberazione.

Insomma, avevamo creduto e sperato in un progetto e in un percorso da sviluppare dal basso, ribaltando quella cultura imperante basata sul “leader” quasi sempre “cesarista” che prescinde dai contenuti; sulla semplificazione, schematizzazione e spettacolarizzazione della politica. Tornando, invece, alla necessaria pratica della partecipazione e della democrazia, mettendo nuovamente al centro dell’azione politica le parole e i valori storici della sinistra e del movimento operaio italiano: democrazia, libertà, lavoro, diritti, pace e convivenza civile, uguaglianza, giustizia, ambiente, legalità, accoglienza, integrazione, solidarietà.

Soggettivamente avevo sognato che il 21 gennaio del 2021 (dopo qualche anno, perché progetti seri, credibili e soprattutto partecipati e democratici hanno bisogno di tempi medio – lunghi), a distanza di 100 anni esatti dalla nascita del Pci, potesse rinascere un nuovo Partito capace di riaprire le sezioni in tutti i comuni e nei quartieri, intese come luoghi imprescindibili di aggregazione, partecipazione, elaborazione e lotta politica. In grado di riaprire cellule o circoli nei luoghi di lavoro, dimostrando la possibilità di tornare ad una politica diversa rispetto a quella dei “partiti leggeri”.

Un nuovo soggetto capace anche di ribadire quella cultura (del tutto assente nel panorama politico di oggi) che imponeva la discussione ed il confronto a partire dall’analisi del contesto mondiale. Da quella che chiamavamo pomposamente e solennemente la “situazione internazionale”. E questo accadeva in presenza di una realtà economica, finanziaria, sociale, molto meno globalizzata e interdipendente rispetto alla fase attuale. Dove, però, l’intelligenza e la lungimiranza della politica, mossa da radicati ideali, comprendeva come, per cambiare, per trasformare, per costruire un futuro diverso e migliore, occorre tenere conto e partire sempre da una visione internazionale delle cose.

Quindi abbiamo sognato una nuova Sinistra che, partendo dai confini della nostra nazione, non evochi soluzioni “sovraniste” rispetto alle difficoltà, ai problemi e alle contraddizioni dell’Europa e nelle relazioni internazionali, ma sia in grado di rapportarsi e di stimolare altre esperienze per ricostruire una nuova Internazionale. Anche perché, in un mondo sempre più globalizzato ed interdipendente, se ci interroghiamo seriamente e fino in fondo, arriviamo a capire il come buona parte delle sconfitte, degli arretramenti rispetto alle condizioni del movimento dei lavoratori in Italia, come in altri paesi economicamente avanzati e industrializzati, sono ascrivibili all’incapacità di non aver contrapposto alla globalizzazione della finanza, dell’economia, del mercato, una strategia basata sull’internazionalizzazione dei diritti del lavoro e dei lavoratori.

Purtroppo abbiamo dovuto prendere amaramente atto di come anche quella del Brancaccio sia stata l’ennesima “falsa partenza”, ritrovandoci nell’oggi in una contesa elettorale che, di fatto, senza voler indicare colpe e responsabilità, ha oggettivamente “sospeso” il progetto avviato.

Auspico un buon risultato elettorale sia per LeU che per Potere al Popolo, ma, comunque vada, penso che il 5 marzo bisognerà ripartire dai contenuti e dalla spirito del Brancaccio (sostenendo gli appelli già esistenti e, per quanto ci riguarda, come compagni e compagne espressione del mondo del lavoro ed esperienza collettiva di “Sinistra Sindacale”, provando – come abbiamo fatto molte volte in passato – a dare il nostro contributo) al fine di rilanciare un progetto inclusivo ed aperto a tutti, anche se nella chiarezza dei contenuti e partendo da qualche profonda “autocritica”, perché una nuova Sinistra non può marciare sulle gambe di ambiguità e contraddizioni. Non possono essere rimosse ed archiviate gravissime responsabilità, che negli ultimi decenni hanno interessato sia la sinistra moderata che quella radicale: scelte sbagliate con le quali si è portato in guerra il nostro Paese, sono stati privatizzati servizi universali, è stato peggiorato il sistema previdenziale, si è precarizzato il lavoro.

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