Colombia: un voto contro il processo di pace - di Vittorio Bonanni

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La destra vince le elezioni presidenziali con Ivan Duque. Un risultato che premia una classe politica corrotta e mette a rischio il già complicato processo di pace.  

In Colombia è avvenuto quello che si temeva. La destra dell’ex presidente Uribe si è affermata nel ballottaggio, e governerà per i prossimi anni il tormentato paese andino-caraibico. Ivan Duque, questo il nome del nuovo presidente della repubblica, ha battuto il candidato di centro-sinistra Gustavo Petro. A Duque il 54% dei voti, oltre 10 milioni di elettori, contro il 42%, circa 8 milioni di voti, di Petro, e con 800mila schede bianche che alla fine hanno favorito il vincitore. Scarsa l’affluenza alle urne, limitata al 52% degli aventi diritto.

Un risultato sconcertante, che premia da un lato una classe politica corrotta e immorale; e dall’altro mette seriamente a rischio il già complicato processo di pace, che aveva portato l’ex presidente Santos al Nobel per la Pace e le Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) a deporre le armi e a trasformarsi in una forza politica legale.

Il vincitore, 44 anni e figlio dell’ex governatore di Antioquia, è già stato senatore negli ultimi quattro anni, ha studiato nelle università degli Stati Uniti, ed è sostenuto da quella oligarchia composta da latifondisti, industriali, banchieri e dai vertici delle forze armate.

Lo sconfitto Petro rappresenta invece quella Colombia democratica che va dai liberali dissidenti fino ai comunisti, con un programma di difesa degli accordi di pace, dell’ambiente, e la riduzione delle disuguaglianze, con una trasformazione di un modello economico fortemente liberista. Malgrado la sconfitta il risultato di questo ex guerrigliero dell’M-19, nonché già sindaco di Bogotà, è stato sorprendente, con un aumento dei voti dal primo al secondo turno da cinque a otto milioni.

Ora c’è il grosso rischio che la pace raggiunta con le Farc salti, e che si fermino i colloqui con l’altro gruppo armato colombiano, l’Eln (Esercito di liberazione nazionale), in corso a Cuba. Il tutto in un contesto già gravido di problemi in materia di rispetto dei diritti umani, che sono stati violati anche durante le trattative, se possibile in misura anche maggiore se è vero che sono aumentati gli omicidi di chi si occupa di diritti umani e sociali, e che i territori prima controllati dalle Farc, e poi da queste abbandonati, sono stati occupati dai gruppi paramilitari di estrema destra, senza che nessuno muovesse un dito per fermarli. C’è poi il problema degli sfollati che premono per tornare nelle loro terre, e quello del narcotraffico, il quale potrebbe trovare in Duque un alleato piuttosto che un avversario.

Resterà in ogni caso per il futuro governo la difficoltà di mettere in discussione il processo di pace, che prevede la cosiddetta “giustizia di transizione”, e di evitare il carcere per Uribe, nel mirino dei giudici che lo accusano di crimini di lesa umanità e di legami appunto con i narcos. Purtroppo non possiamo dimenticare che tutto questo accade in un continente ormai completamente o quasi spostato a destra, e con un’amministrazione americana che non ha mai visto di buon occhio la trattativa di pace e che, con la presidenza Trump, non perde occasione per sostenere le peggiori cause del continente.

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