Arci: una pianta strana, con radici ben salde - di Raffaella Bolini

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Il XVII congresso dell’associazione.  

C’è stata un’interminabile ovazione in piedi per Luciana Castellina, classe 1929, dalla platea di delegati più giovane nella storia dei congressi Arci. Credo sia questa la chiave per comprendere come mai, mentre la sinistra politica scompare, la più grande associazione di sinistra abbia fatto un bel congresso, sia ancora unita nonostante le differenze di cui è composta, sia piena di ragazzi e ragazze.

L’Arci, in primo luogo, non ha mai tagliato le sue radici. Tom Benetollo non l’ha fatta deragliare negli anni in cui la sinistra europea mainstream, invece che approfittarne, si faceva cadere in testa il muro di Berlino, accettando l’orizzonte neo-liberista e opponendosi ai movimenti sociali che provavano a resistere. Di quella scelta tragica stiamo, in tutta Europa, pagando le conseguenze: il vuoto è stato riempito, ma dalla destra oscurantista e dall’anti-politica. La gigantesca insicurezza sociale prodotta dal sistema, invece di fare da leva a un’alleanza per l’uguaglianza, è usata per produrre paura, mettere gli impoveriti contro gli esclusi, e assolvere i potenti.

L’Arci, piantata nella sinistra antica, si salva perché è sempre andata avanti per innesti. Il pacifismo, il femminismo, l’ecologismo, i diritti civili, le avanguardie culturali l’hanno invasa, a ondate, nei decenni passati. Il tradizionale e il nuovo hanno convissuto, qualche volta ignorandosi, altre volte contaminandosi, sempre rispettandosi.

Questo permette oggi all’Arci, mentre sui migranti si sfasciano i valori di un continente e l’integrazione europea, di arrivare attrezzata a questo combattimento all’arma bianca: sull’antirazzismo e l’accoglienza l’associazione ha investito trenta anni fa, costruendo nel tempo la forza per stare sulle barricate.

E’ una pianta strana, l’Arci. Assomiglia di più a un movimento che a una associazione. Anche in questo congresso c’è stato chi ha criticato la campagna per il ‘No’ al referendum costituzionale e chi invece la ritirata adesione alla marcia antirazzista di Macerata, corretta poi grazie alla scesa in campo dei circoli di base. Ci sono stati interventi dove Pd e Arci parevano la stessa cosa, e altri che hanno messo le mani avanti contro ogni “fronte repubblicano” con Minniti per opporsi al nuovo governo. Ma dopo si sono votati coralmente tutti gli ordini del giorno politici. Proprio come un movimento, l’Arci è forte quando trova unità alta su temi costituenti, su quei paletti inamovibili della coscienza che segnano il confine fra destra e sinistra - e che troppo spesso sono stati spostati all’indietro, dal centrosinistra e dalla socialdemocrazia.

Non sono tutte rose e fiori. Le condizioni esterne sono sfavorevoli: l’attacco ai corpi intermedi caratterizza le post-democrazie e i governi reazionari, la crisi ha tagliato risorse, il carico burocratico è spesso insopportabile per circoli in molti casi composti solo di volontari. E ci sono le sfide di questi tempi, per non limitarsi a sopravvivere. L’Arci con i suoi quasi 5mila circoli sta nei territori, laddove tutti a sinistra oggi dicono che bisogna tornare. Ma stare in un territorio non sempre significa comprenderlo, né essere capaci di offrire risposte ai suoi problemi.

Pensarsi solo come isole per la sinistra residua non serve a niente. Lavorare con i migranti è essenziale, ma se non si lavora anche per i nativi si rischia un effetto boomerang. Il concetto di tempo libero è cambiato: il tempo di lavoro non esiste per molti, e il precariato è condizione a tempo pieno. Ritornano forti i temi del mutualismo, della cultura e dell’educazione popolare. Si pretende più attenzione e cura dei territori, il fronte dove oggi la democrazia vince o perde.

Infine c’è la sfida eterna della democrazia interna. Gli strascichi della grande frattura, ricomposta in extremis, del congresso scorso, hanno messo un ulteriore carico sulla discussione da sempre più complessa, quella sul governo dell’associazione. Come si fa a combinare democrazia diretta e democrazia rappresentativa, partecipazione e delega, diversità e rappresentanza numerica, potere-autorità e potere-cura: è una questione vera, non solo un braccio di ferro sulla leadership, e non riguarda solo l’Arci. E’ un grande tema politico, che confido verrà gestito con creatività, saggezza e fiducia dalla presidente Francesca Chiavacci e dal gruppo dirigente. La democrazia evolve, come la storia e la società, e per difenderla bisogna saperla far avanzare..

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