La Consulta censura il jobs act - di Sinistra Sindacale

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Una decisione importante e positiva. Ora ripristinare e allargare le tutele dell’articolo 18.  

“Dalla Corte Costituzionale è arrivata una decisione importante e positiva, che dichiara illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento come previsto dal jobs act sulle tutele crescenti, non modificato nell’intervento del ‘decreto dignità’. Nelle prossime settimane avremo modo di commentare nel dettaglio la decisione, tuttavia quanto stabilito oggi dalla Corte, a seguito di un rinvio del Tribunale di Roma su una causa per licenziamento illegittimo promossa dalla Cgil, è un segnale importante per la tutela della dignità dei lavoratori”. Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, commenta la decisione della Consulta del 26 settembre scorso, che ha ritenuto illegittimo il rigido criterio di quantificazione del risarcimento spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, basato esclusivamente sull’anzianità aziendale.

“E’ un sistema - sottolinea il segretario generale della Cgil - irragionevole e ingiusto, che calpesta la dignità del lavoro e che permette di quantificare preventivamente il costo che un’azienda deve sostenere per ‘liberarsi’ di un lavoratore senza avere fondate e reali motivazioni. Vale a dire quello che potremmo definire la rigida monetizzazione di un atto illegittimo”.

“Quanto stabilito dalla Corte Costituzionale - conclude Camusso – può e deve riaprire una discussione più complessiva sulle tutele in caso di licenziamento illegittimo. Per le quali, per la Cgil, è fondamentale il ripristino e l’allargamento della tutela dell’articolo 18. Come proposto nella ‘Carta dei diritti’, non è rinviabile la definizione di un sistema solido e universale di tutele nel lavoro, superando la logica sbagliata che ha guidato le riforme del mercato del lavoro degli ultimi anni, ultima il jobs act, che hanno attaccato il sistema delle tutele e dei diritti, svilendo il ruolo del lavoro nel nostro paese”.

Per Lorenzo Fassina, responsabile dell’ufficio giuridico della Cgil, “le poche righe del comunicato dell’ufficio stampa della Corte Costituzionale sull’esito della questione sollevata, sono un respiro di sollievo, e rompono un’attesa che dura ormai da quasi due anni; cioè dal momento in cui, nel gennaio del 2017, la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile il referendum da noi proposto per l’abrogazione del jobs act e di alcune parti della Fornero”.

“Da quel momento in poi – ricorda Fassina - una buona parte del lavoro della Cgil e del suo ufficio giuridico è confluita negli sforzi per ottenere, sia a livello nazionale che sovranazionale, la stigmatizzazione delle ‘tutele crescenti’ da parte degli organismi giurisdizionali”. Senza ripercorrere tutte le tappe di questo lungo lavoro, Fassina ha inteso ringraziare pubblicamente tutte le persone che hanno attivamente lavorato su queste vertenze, come gli avvocati e giuristi Amos Andreoni e Carlo De Marchis (che hanno valorosamente sostenuto le ragioni dei lavoratori e della Cgil di fronte alla Corte), Vittorio Angiolini, Umberto Carabelli, Andrea Allamprese, Giovanni Orlandini, Valerio Speziale, Vincenzo Martino, Alberto Piccinini.

Ecco di seguito il comunicato del 26 settembre 2018 dell’ufficio stampa della Corte Costituzionale: “Illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte - non modificata dal successivo Decreto legge 87/2018, cosiddetto ‘Decreto dignità’ – che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza, e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”.

Si tratta di un’ulteriore conferma delle ragioni della Cgil, e una spinta per una rinnovata battaglia per ottenere, pur in un contesto politico istituzionale così difficile, l’approvazione della Carta dei diritti universali del lavoro, su cui la nostra organizzazione ha raccolto milioni di firme, e che reintroduce ed estende, fra gli altri diritti, l’applicazione dell’articolo 18 per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori.

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