Non è un paese per giovani - di Sinistra sindacale

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Il rapporto della Fondazione Di Vittorio “Ingorgo generazionale?” conferma la forte penalizzazione dei giovani nel mercato del lavoro. Un confronto sui dati dell’occupazione fra il 2008 e il 2018.

La Fondazione Di Vittorio, nel suo recente rapporto “Ingorgo generazionale?”, parte dai dati demografici, che attestano un significativo invecchiamento della popolazione. Infatti negli ultimi dieci anni in Italia si è fortemente ridotto il numero dei giovani con età compresa tra 15 e 34 anni (- 1 milione 374mila); si è ridimensionato il peso dalla fascia intermedia 35-49 anni (- 653mila) ed è fortemente cresciuto quello della classe 50-64 anni (+ 1 milione 946mila).

All’invecchiamento della popolazione corrisponde quindi l’invecchiamento dell’occupazione, ma con andamenti diversi per fasce di età su occupazione, disoccupazione e inattività, con un’ulteriore penalizzazione delle fasce d’età più giovani.

Secondo i dati Istat, quantitativamente, gli occupati nel secondo trimestre 2018 superano il massimo raggiunto nel secondo trimestre 2008 (+ 168mila). Ma ancora una volta questo non corrisponde a un pieno recupero dell’attività lavorativa al livello degli anni pre-crisi. Infatti il numero di ore lavorate è ancora considerevolmente più basso (- 4,6%), e questo equivale a quasi un milione di “unità di lavoro” in meno.

La differenza fra numero di lavoratori che risultano occupati e la forte riduzione di ore lavorate è spiegata dall’incessante aumento della precarietà del lavoro e delle forme di lavoro a tempo determinato e a part-time, rispetto al tempo indeterminato e pieno. Il tempo determinato da 2,3 milioni di lavoratori nel 2008 è arrivato a superare quota 3 milioni nel 2018; in termini percentuali si è passati dal 13,5% al 17% del lavoro dipendente. Il part-time involontario è raddoppiato, passando da circa 1,4 a 2,8 milioni. Si tratta quindi di un’occupazione qualitativamente più frammentata e instabile rispetto agli anni prima della crisi.

L’invecchiamento anagrafico della società spiega solo in parte la modifica nella composizione per età del mercato del lavoro italiano. Infatti tra i giovani (15-34 anni) la riduzione dell’occupazione di un milione e 863mila unità va ben oltre il calo anagrafico del decennio, e sorpassa di quasi 500mila unità quello della popolazione di pari fascia d’età (con il tasso di occupazione che si riduce del -9,3%). Nonostante il calo demografico, la consistente emigrazione di giovani spesso con titoli di studio elevati, e la minore propensione al lavoro (l’inattività cresce solo tra i giovani), la disoccupazione giovanile aumenta di quasi 330mila persone, cioè percentualmente il doppio degli aumenti che si registrano nelle altre classi di età.

Solo fra i giovani, dunque, peggiorano tutte le grandezze del mercato del lavoro: ci sono meno occupati, più disoccupati e più inattivi, dopo che è cambiata profondamente a loro sfavore la gerarchia nel mercato del lavoro, con particolare criticità nel Mezzogiorno.

Secondo la Fondazione Di Vittorio è ragionevole collegare questi dati principalmente agli interventi legislativi (legge Fornero) che hanno spostato ulteriormente in avanti l’età del pensionamento, ma è anche evidente che l’attuale modello di sviluppo non propone lavoro in qualità e quantità adeguate. Sbloccare quindi la possibilità di pensionamento è giusto e necessario, ma di per sé non è sufficiente a garantire un aumento di pari entità del lavoro tra i più giovani, né un miglioramento della sua qualità. Ad esempio, chi dovrebbe andare in pensione è generalmente a tempo indeterminato: con che tipo di occupazione sarà sostituito?

Solo uno sviluppo di qualità, e la conquista dei diritti universali inscritti nel nuovo “Statuto dei lavoratori” proposto dalla Cgil può far lavorare di più e meglio i giovani. 

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