San Ferdinando, ancora una tragedia annunciata - di Sinistra sindacale

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Ancora un giovane lavoratore morto nella tendopoli di San Ferdinando a causa di un incendio. “Ancora una volta ci troviamo davanti a tragedie annunciate”, denuncia Ivana Galli, segretaria generale Flai Cgil. “Il nodo del problema è nella condizione lavorativa e abitativa di tanti giovani stranieri impiegati nel lavoro agricolo nella Piana di Gioia Tauro, che vengono sfruttati e sottopagati e non possono permettersi nulla di più di una baracca alla tendopoli”.

La Flai Cgil torna a chiedere che le istituzioni intervengano con piani adeguati e soluzioni consentite dall’attuale normativa. “Altrimenti periodicamente saremo a piangere per giovani vite spezzate, ragazzi che conosciamo, che incontriamo per informarli, e aiutarli nel chiedere un lavoro giusto e non sfruttato. Ora basta, serve intervenire, non abbiamo bisogno di commissioni di studio”. La Flai e la Cgil hanno immediatamente promosso una fiaccolata: il corteo è partito dalla baraccopoli per raggiungere la sede del municipio di San Ferdinando.

L’incendio divampato nella notte del 15 febbraio ha provocato la morte di Moussa Ba, di 29 anni, del Senegal. In un anno, sono tre le vittime di incendi nella baraccopoli. Il 27 gennaio 2018 perse la vita Becky Moses, 26enne nigeriana. In quel caso l’incendio fu doloso. Il 2 dicembre morì Surawa Jaith, del Gambia, che avrebbe compiuto 18 anni pochi giorni dopo. In precedenza, si erano verificati altri incendi che solo per puro caso non avevano causato vittime.

Il ministro Salvini, come di consueto, strumentalizza la tragedia – nonostante che le sue politiche persecutorie ne facciano uno dei primi responsabili – e così annuncia lo sgombero della baraccopoli, tentando di scaricare sugli stessi immigrati le responsabilità di una realtà drammatica. Si nasconde dietro la messa a disposizione di 133 posti nei progetti Sprar, a cui avrebbero aderito solo otto migranti provenienti dal Mali.

Ma chi sono i braccianti sfruttati della Piana di Gioia Tauro? Nemmeno un terzo dei braccianti africani che ci lavorano ha un contratto, e tutti vivono sospesi fra dinieghi, rinnovi del permesso di soggiorno, precarietà di alloggio, fatica, “pizzo” e sfruttamento. I primi a venire qui in cerca di lavoro – negli anni ’60 e ’70 – sono stati gli italiani. Poi sono arrivati i marocchini e i polacchi. Oggi a Rosarno lavorano soprattutto richiedenti asilo, che abbandonano i centri di accoglienza perché hanno bisogno di lavorare e sono stanchi di aspettare. Oppure uomini, e donne, allontanati dai centri dopo il diniego della commissione territoriale alla loro domanda di asilo. Vengono dal Mali, dal Ghana, dal Gambia, dal Senegal, dalla Costa d’Avorio, dalla Nigeria.

Secondo i dati raccolti dalla clinica mobile di Medici per i diritti umani (Medu), il 67,8% è in Italia da meno di tre anni. Tutto è precario: la situazione giuridica, l’alloggio, la condizione lavorativa. Lo sfruttamento è lo stesso per tutti i lavoratori stranieri: 25 euro al giorno per 8-10 ore di lavoro. Oppure a cottimo: un euro a cassetta per i mandarini, 50 centesimi per le arance. Cifra da cui bisogna sottrarre il pizzo dovuto ai caporali: tre euro per il trasporto e tre per un panino e l’acqua, secondo quanto denunciato dalla Flai Cgil.

La tendopoli, che durante l’inverno arriva a ospitare tra le 2.500 e le 3.500 persone, è isolata dal resto del centro abitato, in uno spiazzo tra i capannoni abbandonati di quella che doveva essere la zona di sviluppo del porto di Gioia Tauro. Le tendopoli sono due, a una cinquantina di metri di distanza una dall’altra. E poi ci sono centinaia di migranti che vivono nei casolari abbandonati dei dintorni.

La nuova tendopoli, la terza ordine di tempo, allestita ad agosto 2017, è costata 600 mila euro (con un finanziamento della Regione), è controllata da telecamere e circondata da mura alte un paio di metri e da grate in metallo. All’interno, 54 tende per 700 posti. Un tendone funge da moschea e un altro, poco lontano, da chiesa. I bagni sono all’interno di alcuni container. Un altro container serve da cucina, con fornelli dove i migranti possono cucinarsi i pasti.

Lo sfruttamento sistematico è facilitato dalla ghettizzazione sociale e lavorativa dei migranti. Nonostante fosse previsto, nella nuova tendopoli non c’è alcuno sportello fisso di informazione o di tutela legale. Così chi non segue con attenzione le procedure per i rinnovi, chi manca gli appuntamenti in Questura, o si trova ad avere problemi con il proprio avvocato, rischia di diventare irregolare proprio mentre si trova a Rosarno. A tamponare la situazione ci sta provando, insieme ad organizzazioni di volontariato, la Flai-Cgil, con i corsi di italiano e uno sportello di orientamento legale.

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