Frama Action, gli austriaci chiudono e non sentono ragioni - di Frida Nacinovich

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Sono una ventina fra operaie e operai, numeri piccoli, di quelli che faticano a uscire dalle cronache locali dei media. Eppure li hanno licenziati, chiudendo senza preavviso la Frama Action, dove lavoravano da anni e anni. Vengono in mente le parole del drammaturgo Stefano Massini e i volti di Ottavia Piccolo, di Fiorella Mannoia, delle altre lavoratrici di ‘Sette minuti’. Perché il problema non sono i numeri, il problema è la cancellazione di un diritto, quello al lavoro, che è un pezzo importante della vita di ognuno di noi.

Cinzia Camurri di fronte ai cancelli dello stabilimento di Novi di Modena non passa più. “Cerco di fare un’altra strada, troppi ricordi, quei capannoni vuoti mi mettono ansia. Quando sono rientrata a prendere l’ultimo Cud mi sono venute le lacrime agli occhi”. Camurri ha iniziato a lavorare in Frama nel 1991, da allora sono successe tante cose, dalla cessione di un ramo di azienda al fallimento, fino all’arrivo, nel 2013, della multinazionale austriaca Hella, interessata al core business dell’azienda novese, che si occupa della produzione e della progettazione di gazebi, pergole, tensostrutture e altre soluzioni per la protezione dal sole e dagli agenti atmosferici.

Per raccontare la storia della Frama Action prendiamo a prestito i versi di un modenese illustre, Francesco Guccini: come in un libro scritto male i licenziamenti sono arrivati per Natale. “Il 20 dicembre la Frama Action ha organizzato il consueto pranzo di Natale. Non a mensa, ma con tanto di sontuoso catering e pacchi regalo - racconta Camurri - i manager si sono addirittura complimentati con noi per aver raggiunto un aumento degli ordini dell’8%. Poi il 27, con raccomandata datata 21 dicembre, è arrivata l’inaspettata lettera di licenziamento per ‘cessazione di attività’”. Un incubo per i 23 lavoratori della Frama Action, 17 dipendenti in forza nello stabilimento, a cui vanno aggiunti altri sei in contratto a termine e somministrati.

Camurri rivela un piccolo vezzo della vita in Frama. “Avevamo adottato una gallina. Era diventata la mascotte della fabbrica, le avevamo persino costruito una casetta. Ci aspettava, ci veniva incontro quando scendevamo dall’auto per entrare a lavoro. Nel periodo delle ferie natalizie mi ero offerta di accudirla. Quando, il 27 dicembre, mi ha telefonato una collega per dirmi dei licenziamenti, pensavo mi volesse parlare della gallina, tanto per darti l’idea di come tutto sia stato inaspettato. ‘È morta la gallina?’. ‘No’, mi ha risposto. ‘Siamo state licenziate’. Alla fine l’animale è stato adottato da un’altra collega, si è ambientato e ha fatto anche le uova”.

Alle lettere di licenziamento è seguito un lungo presidio per salvare i posti di lavoro. “Dal 28 dicembre siamo rimasti davanti alla nostra fabbrica, senza saltare un giorno - racconta Camurri - di fronte a quei cancelli abbiamo passato le settimane più fredde dell’anno. I proprietari dello stabile adiacente sono stati gentili, ci hanno permesso di usare il bagno, la luce, l’acqua”. Sindacato e istituzioni, in prima fila la Fiom Cgil, hanno tentato di ammorbidire la posizione della multinazionale, proponendo di tenere aperto fino al 30 luglio per trattare la vendita dell’intera azienda di Novi ad un altro gruppo imprenditoriale. Nein: Hella ha ribadito la volontà di chiudere entro il 6 marzo, e di vendere solo una parte della Frama Action. “Ci hanno proposto 16mila euro lordi in cambio di un accordo tombale, che svincolava l’azienda da qualsiasi responsabilità. Non sarebbe più stato riconosciuto neppure il danno biologico. Non abbiamo firmato, sembrava un’autorizzazione a farci prendere in giro. Dopo il mancato accordo l’amministratore delegato ci ha contattati personalmente per proporre accordi singoli. Fanno sempre così”. Proposte indecenti, subito respinte al mittente.

Camurri guarda all’indietro e non nasconde alcuni rimpianti. “Finita la scuola ero andata a lavorare in una ditta locale, ma subito dopo ero entrata in Frama come impiegata amministrativa. Era la mia casa. Eravamo una bella squadra, fieri del nostro lavoro. Non siamo ragazzini, io ho 54 anni”. Ne hanno viste tante, compresa l’assunzione a tempo indeterminato tre anni fa, alla fine del 2015, perché gli austriaci volevano sfruttare gli sgravi collegati al jobs act. Ma loro non si arrendono. Nelle settimane di protesta hanno bloccato i camion che portavano via i prodotti finiti, la multinazionale li ha citati per danni, come se non stessero lottando per il proprio futuro. “Ci sono mancati solo Sergio Mattarella e Jorge Bergoglio, gli altri sono venuti tutti a solidarizzare con noi - sorride con una piega amara agli angoli della bocca Camurri - persino i carabinieri e gli agenti della Digos, chiamati dai manager della multinazionale a ogni incontro sindacale, alla fine ci hanno trattato con i guanti. Perché non ci stavano togliendo solo lo stipendio (ora sono tutti con la Naspi, ndr) ma anche un pezzo della nostra vita”.

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