Libia, la balla del “porto sicuro” - di Riccardo Chiari

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Come scrive lucidamente Alberto Negri su ‘il manifesto’, il governo italiano nella crisi libica ha fatto finta, per mesi, di non accorgersi di nulla, facendo credere che la soluzione fosse chiudere i porti. Con affermazioni fuori dalla realtà – la Libia è un porto sicuro – ora Conte, Salvini e Di Maio si trovano sotto ricatto del presidente che hanno riconosciuto, Fayez Serraj, che minaccia l’arrivo di 800mila profughi, non più migranti ma rifugiati di guerra. E devono solo sperare che fallisca la guerra lampo del generale Khalifa Haftar.

Intanto continua a salire il bilancio delle vittime. Ad oggi si registrano 240 morti, tra i quali 75 bambini, 42 donne stuprate e uccise, e 17 sanitari. Numeri che arrivano da una fonte di prim’ordine come Faud Aodi, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi), e consigliere dell’Ordine dei medici di Roma, in contatto con i colleghi libici. I feriti sono ad oggi 1.400, tra i quali 300 minorenni, mentre fra i combattenti ci sono anche francesi, russi e americani.

Ancora, è salito a 27mila il numero degli sfollati, secondo dati Onu, e circa 1.800 bambini devono essere evacuati dalla prima linea del conflitto, mentre altri 7.300 sono già stati portati via. Nel complesso sono circa 500mila i bambini colpiti in tutta la parte occidentale del paese, avvertono l’Unicef e il rappresentante speciale del segretario Onu per i bambini e i conflitti armati.

In questo contesto, diventa sempre più urgente una presa di responsabilità umanitaria, senza tentennamenti e condivisa dall’Ue. “Basta con la politica della propaganda e degli slogan dei porti chiusi, servono soluzioni politiche e non teatrini muscolari contro i più deboli - avverte fra i tanti l’Arci - l’Italia e l’Europa non possono guardare altrove e far finta di nulla”. Invece sta accadendo proprio questo. Come al solito.

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