Il capitalismo storico, il sistema-mondo e i movimenti antisistemici. Un omaggio a Immanuel Wallerstein - di Giorgio Riolo

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Nell’agosto 2018 è scomparso Samir Amin. Nell’agosto 2019 Immanuel Wallerstein. Dopo la morte di Andre Gunder Frank (2005) e poi quella di Giovanni Arrighi (2009), la cosiddetta “banda dei quattro” si è estinta. La loro collaborazione si era svolta in varie fasi e occasioni. Una importante. Il bel libro collettivo del 1982 ‘Dynamics of Global Crisis’ (in francese ‘La crise, quelle crise?’), poi parzialmente tradotto in italiano. Un modello di analisi a più voci e a più angoli visuali della lunga crisi capitalistica (a seconda della visione a partire dal 1967, dal 1971, dal 1973) seguita ai “trenta gloriosi” della fase di prosperità e di espansione dopo il 1945. Ognuno con il suo preciso profilo intellettuale e politico, con la peculiarità della propria formazione e degli influssi, tuttavia accomunati dal vivere una grande stagione storica di quello che chiamiamo “il risveglio dei popoli coloniali”. Soprattutto nel secondo dopoguerra, con l’avvio delle speranze suscitate dalla decolonizzazione, dai movimenti di liberazione nazionale, dal “terzomondismo”. Non i soli, beninteso, avendo questo filone (“scuola della dipendenza”, del sistema-mondo, del rapporto centro-periferia, del rapporto nord-sud, ecc.) tante figure, tanti altri studiosi e attivisti politici su scala mondiale.

Una grande stagione di fervore culturale e teorico, di studi, articoli, saggi, libri, di conferenze, di convegni, ecc. Il moto storico interagisce e influenza la teoria. Marx, da par suo, aveva compiuto l’anatomia del capitalismo, a partire dal microcosmo della fabbrica inglese e di quella fabbrica allargata, “l’officina del mondo”, allora rappresentata dall’Inghilterra. Aveva elaborato le categorie decisive e il metodo per comprendere il sistema capitalistico.

Ora, dopo le opere importanti del Novecento attorno al capitale finanziario e all’imperialismo, occorreva operare una sorta di “rivoluzione copernicana”, occorreva uscire dall’eurocentrismo e dall’occidentalocentrismo. Occorreva porre al centro il mondo, il sistema capitalistico su scala mondiale, il sistema gerarchizzato delle relazioni tra centri e periferie, e analizzare come subordinate le economie nazionali e le politiche nazionali.

Per loro dirsi “marxisti” significava continuare l’opera di Marx, alla luce delle trasformazioni storiche, alla luce delle nuove acquisizioni, dei nuovi studi, degli influssi di altri filoni di pensiero (per tutti Karl Polanyi e Fernand Braudel, per Wallerstein, tra gli altri, soprattutto Frantz Fanon). E soprattutto alla luce dell’emergenza di altri soggetti storici, oltre al soggetto primigenio “classe operaia”, “proletariato”. Il Novecento è il secolo dei “movimenti antisistemici” (movimento operaio, movimento contadino, movimento ecologista, movimento femminista, ecc.) e da qui un ventaglio di opzioni politiche e culturali che fanno sì che più che un solo marxismo occorre prendere atto che esistono tanti marxismi.

Wallerstein dirà che la “unità di analisi”, minima e prioritaria, è il sistema-mondo (categoria mutuata dallo storico francese Fernand Braudel) e che il capitalismo, come sistema sociale storico, presenta nella sua lunga storia i tratti caratteristici dei sistemi sociali, vale a dire la compresenza di “trasformazioni” e di “persistenze”. Un modo di produzione e una formazione sociale che si è trasformata molto, nelle sue varie fasi e nelle sue transizioni, pur tuttavia rimanendo sempre capitalismo. E, con Amin, un sistema dall’origine mondializzato (oggi diremmo “globalizzato”), non essendo l’attuale mondializzazione-globalizzazione un fenomeno inedito. Inedito solo nei sui caratteri di trionfo del neoliberismo, di accentuata diseguaglianza, di cancellazione delle conquiste storiche delle classi subalterne e dei popoli oppressi delle periferie, dopo la fine del socialismo reale e dei movimenti di liberazione nazionale.

Sociologo di formazione, Wallerstein, ebreo tedesco di origine e statunitense di nascita, fu coinvolto dalla famiglia a interessarsi alla politica. Nel dopoguerra l’indipendenza dell’India e poi la lunga esperienza compiuta in Africa, fino ai primi anni settanta, costituirono quel terreno reale, concreto, di cui si diceva prima da cui partire per il proprio lavoro intellettuale e per il proprio impegno politico. Il lavoro intellettuale si concentrò da allora su un’impresa di grande respiro, una storia del capitalismo dalle origini a oggi. Nel vincolo “sistemico” tra le varie istanze dell’economico, del sociale, del culturale, del politico. E nel vincolo rigorosamente “storico”, nella verifica concreta e reale della ricchezza delle esperienze nell’arena mondiale. ‘The Modern World-System’ (tradotto in italiano, alterando, come ‘Il sistema mondiale dell’economia moderna’) è quest’opera capitale. Wallerstein ha potuto completare solo i primi quattro volumi, dal 1500 alla rivoluzione francese e a tutto l’Ottocento.

Nel 1983 apparve un volumetto dal titolo ‘Il capitalismo storico’ (presso Einaudi nel 1985, oggi Asterios), nel quale, a maglie molto strette, egli ha riassunto i risultati e i contenuti delle sue ricerche. Importante, in quest’opera, oltre alla descrizione del funzionamento del capitalismo, l’insistenza, giusta la visione di cui sopra, sulla divisione internazionale del lavoro, sulla differenziazione etnica della forza-lavoro (già Marx a proposito di operaio irlandese e operaio inglese), sul razzismo, sul sessismo, ecc. Per concludere con la trattazione della dialettica nella nozione di “progresso” e con la controversa sua posizione sull’impoverimento assoluto, e non relativo, di ampi strati della popolazione mondiale. Fuori dall’indubbio progresso del livello di vita per alcuni strati di operai industriali. Ma qui non è luogo e spazio per affrontare adeguatamente la questione.

Come non c’è spazio qui per riprendere il suo contributo a proposito delle nozioni, quanto mai decisive oggi, di razza, classe, nazione, cultura, identità, ecc. e per riprendere la sua visione dei cambiamenti storici, anche delle rivoluzioni, del socialismo, del comunismo. Dei cambiamenti visti secondo la “lunga durata” (sempre da Braudel) e non nel breve tempo, veri spartiacque storici malgrado la sconfitta o le apparenti cancellazioni. Allora il 1848, la Comune del 1871, la rivoluzione del 1917 e il 1968, a cui egli partecipò alla Columbia University e da lui considerata vera rivoluzione del sistema-mondo.

Conformemente alla sua visione dei “movimenti antisistemici”, Wallerstein è stato molto attivo nel cosiddetto movimento altermondialista e nei lavori dei Forum Sociali Mondiali, da Porto Alegre 2001 in avanti, al pari di Samir Amin e di altri studiosi e attivisti di questo filone di pensiero.

Importante infine la sua presa di posizione a seguito della crisi mondiale capitalistica scoppiata nel 2007-08. A suo avviso, lo scenario che si prospettava come esito di tale crisi, naturalmente non come sbocco naturale, deterministico, ma come esito dei conflitti sociali e politici auspicabili, a opera delle classi subalterne e dei movimenti, era un bivio, una biforcazione netta. O un sistema sociale e politico autoritario, o un sistema sociale e politico più democratico, più partecipativo.

Le radici storiche, entro il capitalismo, della differenziazione etnica della forza-lavoro (non solo su scala mondiale, ma anche all’interno delle nostre società), del razzismo, del sessismo, la lezione sui movimenti antisistemici e questa visione realistica dello scenario che si apre davanti a noi rimangono un punto fermo nell’analisi. Per capire il nostro tempo e per sostanziare l’impegno sociale e politico all’altezza delle sfide del mondo contemporaneo.

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