Coop Lombardia, più in salute l’azienda dei lavoratori - di Frida Nacinovich

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Il mondo Coop continua a giocarsela con le multinazionali della grande distribuzione. Non è facile, ma il bisogno aguzza l’ingegno. Ecco così che ai tradizionali punti di forza, in primis l’agroalimentare, si aggiungono servizi che vanno dalla telefonia ai carburanti, passando per l’abbigliamento. Un solo marchio per soddisfare le quotidiane necessità familiari. Nel segno di un made in Italy che passo dopo passo, e non senza qualche inciampo, resiste a una concorrenza sempre più agguerrita.

Luca Lugli è un testimone diretto dell’evoluzione del mondo Coop, lavora da più di trent’anni nei punti vendita lombardi, attualmente è impiegato ad Opera, all’interno di un grande centro commerciale inaugurato all’alba del secolo. Siamo nell’hinterland milanese, nel quadrante sud della metropoli lombarda, un’area comodamente raggiungibile sia dalla città, sia dai comuni limitrofi. “Sono arrivato qui nel 1992, poi nel 2000 il trasferimento nella nuova struttura - racconta Lugli - ma lavoro in Coop da molto più tempo. Subito dopo aver finito le scuole superiori, l’istituto tecnico, e fatto l’anno di militare, fui assunto. Come primo incarico, erano ancora gli anni ottanta, lavoravo nel magazzino centrale di Pieve Emanuele, un piccolo centro nei dintorni di Milano”.

Iscritto alla Cgil dal 1986, Lugli ha fatto più assemblee di quanti capelli abbia in testa. E sì che ne ha tanti, lunghi e biondi. Dagli effervescenti anni ottanta ne è passata di acqua sotto i ponti, la tecnologia ha fatto passi da gigante, l’economia italiana meno. “Nel corso della mia esperienza lavorativa sono stato testimone di grandi e profonde trasformazioni, sia nell’organizzazione del lavoro che nelle condizioni di vita. Sono stato eletto delegato sindacale molto presto, in un periodo di conquiste anche importanti, ottenendo più diritti e più tutele che ora rischiano di venire erose”.

Anche Coop Lombardia ha dovuto fare i conti con la crisi, e ha pensato di combatterla abbattendo il costo del personale, riducendo il numero degli addetti, con effetti collaterali facilmente intuibili. “Per giunta - aggiunge Lugli - negli ultimi anni in Parlamento sono state approvate leggi che riducono alla radice i diritti dei lavoratori (il jobs act, ndr), così l’azienda può spremere a suo piacimento i neo assunti”.

Da sindacalista esperto, Lugli si interroga su un tema sempre più avvertito: quello della necessaria comunicazione fra i lavoratori nell’epoca della rivoluzione digitale. In altre parole, di come riuscire a raggiungere chi non partecipa alle assemblee. “La Filcams Cgil ha in Coop Lombardia più di mille iscritti, alle riunioni sindacali non ci sono certo tutti. Ma devi riuscire a renderli comunque partecipi delle novità che li riguardano”.

Fra i marchi della grande distribuzione organizzata, Coop si distingue in positivo anche per l’esistenza di un buon contratto integrativo: “Il problema casomai - sottolinea Luigi - è la sua applicazione”. Il sindacalista invece è apertamente critico sul capitolo del lavoro festivo. “L’azienda pretendeva di tener aperto sia il 25 Aprile che il Primo Maggio. È una vergogna, soprattutto perché Coop dà all’esterno l’immagine di un’azienda attenta ai valori repubblicani. E poi fare la spesa nei giorni di festa invece di dedicarsi alla famiglia resta un errore”.

Da qualche anno Lugli lavora nel reparto ortofrutta. “Mancava personale, anche per problemi di salute di qualche collega, così mi sono offerto. A parità di livello i ruoli sono intercambiabili. Il problema - scherza - diventa la tenuta da lavoro, avresti bisogno di un armadietto più grande, pieno di divise da indossare a seconda del reparto a cui vieni assegnato”. A Opera c’è anche EnerCoop, un punto di distribuzione di carburante a prezzi concorrenziali. “Pensa che ha un fatturato intorno ai 30 milioni l’anno, mentre il negozio ne fattura circa 20. Ed ha un bilancio autonomo. Pur essendo una controllata, ha una gestione a se stante”. Per capirci di più Lugli ha anche seguito un corso della Filcams Cgil sul bilancio sociale. “Abbiamo provato a capire quello di Coop, anche un professionista avrebbe il suo daffare. Non si sa come o perché, ma alla fine ti rigirano le cifre come si rigira una cotoletta. E ti friggono. Il fatturato è alto, ma continuano a dirci che siamo in perdita”.

L’organizzazione del lavoro è per turni. “Abbiamo reparti che iniziano prestissimo, come quello della panificazione che produce anche per altri negozi. Il tempo pieno è di 38-40 ore settimanali, ma il 70% degli addetti ha un contratto part-time, non guadagna molto ed è così più ricattabile”. Per un delegato sindacale è un problema di non poco conto. “E comunque il turnover è basso, nonostante i suoi difetti Coop resta una garanzia per i suoi lavoratori. Ma potrebbe fare di più - e qui parla come Rls - anche sul versante dello stress lavoro correlato, e della salute e sicurezza a tutto tondo”.

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