Una vertenza generale Roma Capitale? - di Mimmo Dieni e Angela Ronga

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Venerdì 25 ottobre c’è stato a Roma lo sciopero delle partecipate e della municipalizzata Roma Metropolitane. Erano partiti bene i rapporti tra i sindacati e l’amministrazione comunale 5stelle di Virginia Raggi, con il rinnovo del contratto decentrato per i 24mila dipendenti del Comune che superava l’assurdo “contratto-atto unilaterale” della precedente giunta Marino-Nieri.

Il primo ottobre scorso però la polizia aveva forzato un presidio di lavoratori in lotta e sindacalisti davanti all’ingresso degli uffici di Roma Metropolitane. Erano lì per sostenere la richiesta di un accordo sul futuro lavorativo dei dipendenti dell’azienda municipalizzata che si occupa di progettare nuove linee metro e di ampliare quelle esistenti. Venivano scaraventati a terra i segretari regionali di Cgil e Uil ed il deputato e consigliere di Sinistra per Roma, Stefano Fassina, che insieme al segretario Uil e ad una lavoratrice doveva poi ricorrere alle cure dei medici in ospedale.

Il fatto, gravissimo, scatenava la comprensibile reazione sindacale, che si concretizzava in dichiarazioni di fuoco dei vertici regionali e nazionali (per la Cgil dello stesso Maurizio Landini), e in una mobilitazione organizzata per il giorno dopo sulla piazza del Campidoglio. La sindaca Raggi e la sua giunta andavano poi avanti, mettendo in liquidazione Roma Metropolitane, dopo una seduta fiume in Consiglio comunale, tra le proteste e l’occupazione dell’aula da parte dei lavoratori e dei consiglieri dell’opposizione.

A questo si aggiungeva la gravissima situazione di Roma Multiservizi, partecipata per la cura del verde, le pulizie e i servizi per anziani e disabili. Tremilacinquecento dipendenti che ricevono stipendi variabili tra i 300 e gli 800 euro mensili, con continui e insopportabili ritardi, e ora rischiano pure il licenziamento.

Anche per quanto riguarda il trasporto pubblico, la grave situazione rischia di cronicizzarsi. L’Atac è in apnea, mentre il trasporto pubblico periferico della Tpl, gestito dai privati, si contraddistingue per i ritardi clamorosi nel pagamento degli stipendi al personale, che periodicamente è costretto a scendere in sciopero per reclamare quanto dovuto. Il parco mezzi appare allo stremo con notizie quasi quotidiane di autobus che si incendiano durante il servizio. I media continuano, nei fatti, a criminalizzare gli scioperi, facendo ricadere su questi la colpa dei disservizi e dei disagi dell’utenza. Il risultato è che quotidianamente aumentano le denunce di aggressione fisica nei confronti del personale viaggiante.

Si arrivava quindi allo sciopero generale delle partecipate indetto da Cgil Cisl e Uil “contro il degrado dei servizi pubblici e la disastrosa gestione delle partecipate”, e alla manifestazione cittadina in piazza del Campidoglio. Lo sciopero si sovrapponeva a uno sciopero generale nazionale del trasporto pubblico, indetto da alcuni sindacati di base, e l’adesione dava risultati eccellenti: 90% in Roma Metropolitane, chiusi in gran parte gli asili comunali. All’Ama, nell’occhio del ciclone per i noti problemi legati alla raccolta dei rifiuti e per i gravi problemi di bilancio, la partecipazione era circa del 75%. Chiusi tutti i centri informativi turistici.

La manifestazione in piazza non ha avuto lo stesso successo. Ed è mancata proprio la presenza dei quadri sindacali delle altre categorie, pur mobilitati nei giorni precedenti dalle varie strutture, con incontri e assemblee preparatorie. Forse è proprio questo, a fronte delle positive note di ripresa della mobilitazione e di una relativa unità di azione ritrovata con Cisl e Uil, il vero tasto dolente.

La Cgil di Roma e Lazio ha troppo a lungo “vivacchiato” negli anni passati, con troppi quadri impegnati a gestire la routine quotidiana. Se in alcune categorie sono stati fatti alcuni passi avanti nel rinnovamento dei metodi, ciò risulta ancora come un’esperienza parziale, e il “cambio di passo” avvenuto con il congresso nazionale di Bari e l’elezione a segretario generale di Maurizio Landini non sembra essere diventato pratica e patrimonio comune per diverse categorie e strutture.

È invece proprio un cambio di passo che è indispensabile nell’attuale fase, soprattutto a Roma e nel Lazio, dove la crisi occupazionale morde in profondità. Assistiamo, pressoché quotidianamente, a posti di lavoro che spariscono. A Roma gli esempi di Sky e Mediaset, col continuo trasferimento di personale, studi ed uffici nel meglio organizzato nord del paese, sono la punta di un iceberg.

La drammatica situazione del frusinate e del sud pontino, a fronte del riconoscimento di area di crisi occupazionale complessa, ha visto la coraggiosa battaglia dei compagni e delle compagne della Flai Cgil, con la denuncia del caporalato e di alcuni episodi di reale riduzione in schiavitù dei lavoratori del settore produttivo agro-alimentare. Ma per il settore industriale della Ciociaria, non c’è stata, oggettivamente, una mobilitazione all’altezza della gravità della situazione. Non pare essere ancora patrimonio comune l’impegno e la comprensione dell’importanza dell’intervento sindacale nel quadro dei cosiddetti “lavoratori atipici”, con la virtuosa eccezione della positiva lotta portata avanti per Almaviva.

In ancora troppi quadri sussiste una sorta di sentimento diretto a “non disturbare il manovratore” verso un governo regionale considerato “amico”, ma sul quale ricade la responsabilità di uno smantellamento feroce, con tagli draconiani, della sanità pubblica a tutto vantaggio delle strutture private. Troppo ci si è basati, quasi esclusivamente, sui servizi, e questo ha portato a un tesseramento non ritenuto di qualità, e con la passivizzazione di iscritti e iscritte e delegate e delegati di posto di lavoro. Anche nel sindacato pensionati, con la pregevole eccezione di alcune leghe, ci si è limitati a semplici campagne di tesseramento.

Soprattutto per la drammatica situazione nella quale versano la capitale e la sua regione, risulta decisivo ed ineludibile per la Cgil di Roma e Lazio, riguadagnare l’importante caratteristica della confederalità. Il delegato e la delegata di sito (importante l’esperimento in corso all’aeroporto di Fiumicino) possono rispondere alla necessità di coordinare e unire più figure professionali presenti su un unico sito.

Per quanto riguarda la disgraziata amministrazione capitolina, per la difesa del carattere pubblico dei servizi (acqua, trasporti, raccolta rifiuti, servizi alla cittadinanza, difesa delle categorie più deboli), la riqualificazione delle periferie, insieme alla difesa della sanità e della scuola pubblica per tutti, la battaglia contro le discriminazioni sessiste e per l’uguaglianza di trattamento delle donne lavoratrici e non, diventa imprescindibile un’azione confederale e strutture organizzative adeguate.

Costruire una rete con la galassia di associazioni che si battono per i diritti - a iniziare dai movimenti femministi (in primis con la Casa Internazionale dalla Donna, storica istituzione oggi a rischio di sfratto da parte dell’amministrazione Raggi, ma anche con le importanti esperienze di “Non una di meno” e “Lucha y Siesta) passando per le reti studentesche, centri sociali, movimenti per il diritto all’abitare, antirazzismo, associazioni di quartiere - deve essere l’asse portante del nostro intervento, attraverso un decentramento capillare della nostra presenza. Un dialogo con questa ricca galassia è stato iniziato con diverse iniziative, ma va ulteriormente sviluppato e deve divenire asse portante del nostro intervento. È urgente stringere i rapporti con i movimenti giovanili, protagonisti, negli ultimi tempi di importanti e partecipate mobilitazioni in difesa dell’ambiente e del loro stesso futuro generazionale. Tutto questo va tradotto in termini di nuova contrattazione e di apertura di una vertenza generale con la giunta Raggi, che non ha mantenuto le promesse, e con la stessa Regione Lazio.

Le sedi Cgil sul territorio non possono essere soltanto erogatrici di servizi e punto di riferimento per le leghe Spi, ma devono vedere la presenza di tutte le categorie (non solo per la consulenza), per la costruzione di vertenze territoriali. Nel momento politico attuale ciò appare il solo argine in grado di contrastare le possenti dinamiche di disgregazione ed egoismo sociale che generano chiusura in sé stessi e sono brodo di coltura per il razzismo e l’odio nei confronti dell’altro, visto come un potenziale concorrente al godimento dello scarso benessere rimasto, anziché come un possibile alleato. Per fare questo è indispensabile uno scatto in avanti e il ritorno al protagonismo delle Rsu, di delegati e delegate, di iscritte e iscritti.

È ineludibile il nodo della costruzione locale di una nuova sinistra sindacale, che sia portatrice di nuove pratiche e rapporti (compresi quelli interpersonali) all’interno della Cgil, valorizzando la ricchezza di pluralità, da sempre presente nella nostra organizzazione.

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