Brescia, il lavoro povero e intermittente delle ausiliarie scolastiche - di Frida Nacinovich

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Senza il loro lavoro, prezioso, le scuole resterebbero chiuse. Sono gli ausiliari scolastici, per meglio dire le ausiliarie, dato che sono in stragrande maggioranza donne. Nella sola Brescia sono più di cinquecento, si occupano di quelle piccole grandi cose - dalle pulizie degli istituti alle mense per i bambini, senza dimenticare l’assistenza necessaria quando si ha a che fare con degli under 10 - che permettono a un’organizzazione complessa di funzionare.

Lungo la penisola si contano più di 100mila addetti degli appalti scolastici, lavoratrici e lavoratori con magri stipendi perché assunti con ‘part-time ciclico’, poche ore di servizio, paghe basse e interruzioni di lavoro - e di stipendio - per due, tre mesi l’anno. Non è finita, la loro tipologia contrattuale fa sì che non possano ricorrere agli ammortizzatori sociali, o ad altre forme di sostegno al reddito nei periodi di inattività. In primis i mesi estivi, quando le scuole sono chiuse.

In sostanza, sono il volto di quel ‘lavoro povero’ che rappresenta uno dei problemi più pressanti della società italiana. “Rispetto alle mie colleghe sono una fortunata - dice senza ironia Serenella Cavalli - lavoro ben 35 ore la settimana. Nel concreto, qualche mese riesco a toccare 1.080, 1.100 euro di stipendio. Ma chi, e sono tante, ha un part time di poche ore settimanali, a stento arriva a guadagnarne 500”. Venticinque anni di anzianità di servizio permettono a Serenella di essere una lavoratrice quasi a tempo pieno, se non fosse che con la chiusura delle scuole il lavoro si ferma e il salario non arriva più. “Quando ho iniziato - ricorda - facevamo domanda all’ufficio di collocamento e venivamo assunti dall’amministrazione comunale. Poi i Comuni hanno iniziato ad appaltare i servizi come il nostro, sono arrivate le agenzie interinali e le cooperative”.

Ora Serenella Cavalli lavora per conto della Multiservice, e da dieci anni ha un contratto a tempo indeterminato. “Il contratto è per sempre, lo stipendio solo per nove mesi. L’unico vantaggio del tempo indeterminato - sorride - è la certezza che anche in caso di cambio di appalto non c’è la paura di perdere il posto di lavoro”.

Sono le Serenelle Cavalli quelle che aprono i portoni delle scuole per accogliere i piccoli alunni delle materne e delle elementari. “Ci occupiamo di loro quando devono andare in bagno, quando devono mangiare, teniamo in ordine l’intero plesso scolastico”. Un lavoro in stretto collegamento con gli insegnanti, che sanno di poter contare su personale esperto e consapevole della delicatezza del ruolo. “Può succedere che le maestre e i maestri abbiano un contrattempo, in quel caso siamo noi ad accogliere i piccoli”. Lei si occupa dei bambini delle materne, dai tre ai cinque anni, un’età complicata, che richiede formazione specifica. “Questo in teoria, ma la verità è che i nuovi arrivati sono spesso e volentieri digiuni di esperienza, anche per i compiti meno impegnativi come il detersivo da scegliere per pulire le aule e la mensa”.

Molte addette non sono più giovanissime, hanno esperienza e anzianità di servizio, ma stipendi inadeguati. “Va a finire che, non potendo fare altrimenti, nei mesi estivi qualcuna di noi accetta lavoretti in nero, per far quadrare il bilancio familiare. Guarda che è un problema serio, le materne finiscono il 30 giugno e quindi quel mese viene pagato. Ma chi lavora alle elementari finisce tre, quattro settimane prima, e perde un altro mese di stipendio”. Sono gli effetti collaterali del ‘part time ciclico’, che tradotto significa tre mesi l’anno a carico della famiglia, per chi ce l’ha.

Le combattive ausiliarie bresciane a un certo punto hanno detto basta. E hanno lanciato una vertenza che passo dopo passo è diventata nazionale. “Abbiamo fatto rumore - ricorda con soddisfazione Cavalli - sono venuti a trovarci parlamentari di tutti gli schieramenti politici. Il Comune ha provato a metterci i bastoni fra le ruote, vietandoci di manifestare perché svolgiamo un servizio strategico per la cittadinanza. ‘Ma allora, abbiamo risposto, come fate a permettere che il servizio sia appaltato a queste condizioni?’”.

Sostenute in ogni passo della loro vertenza dalla Filcams Cgil, le donne degli appalti scolastici non si arrenderanno facilmente. Anche perché la loro situazione si riflette, come in un perverso gioco di specchi, sulle future pensioni. “Dovremmo lavorare cinquant’anni per maturarne quaranta di contributi. Ai fini della pensione, l’Inps non considera che noi si lavori 52 settimane all’anno, ma solo 40 o 44, a seconda dell’impiego nelle elementari o nelle materne”.

Ascoltiamo Cavalli mentre è appena uscita da un autentico tour de force, che complice un corso di aggiornamento l’ha trattenuta a scuola dieci ore e passa. E poi lo chiamano ‘part time ciclico’... “Non chiediamo la luna - conclude - ma che il nostro lavoro sia rispettato, quello sì”.

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