Ritorno al passato: perché? - di Gabriele Giannini

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Riflessioni sulle dimissioni di Fioramonti e lo spacchettamento del Miur.  

Con una decisione inaspettata il presidente del consiglio Conte risolve le dimissioni del ministro Fioramonti spacchettando il Miur con un ritorno al passato, quando Mussi era ministro di Università e Ricerca e Fioroni all’Istruzione, nel secondo governo Prodi.

Le incomprensibili dimissioni di Fioramonti, seppur annunciate, lasciano il Miur alle prese con una “crisi istituzionale” senza precedenti. Una cosa è la nomina di due nuovi ministri, altra è la nascita di due ministeri per cui occorre uno specifico decreto legge, con tanto di separazione di dipartimenti, direzioni e dotazioni organiche. Si parla di 5 o 6 mesi di paralisi, mentre Scuola, Università, Ricerca e Afam non possono attendere. Tanto più dopo l’intesa del 19 dicembre scorso fra il ministro Fioramonti e le organizzazioni sindacali, in cui sono stati assunti precisi impegni per affrontare le questioni del rinnovo contrattuale, del precariato e delle risorse. Ora tutto questo non c’è più, compresi gli impegni sottoscritti e il calendario concordato.

La separazione del Miur non discende da alcuna discussione pubblica. Si è appreso dalle interviste che Fioramonti avesse già in mente questo scenario, ed è molto probabile che questo fosse l’orientamento di parte dell’apparato politico amministrativo del ministero, di parte del governo e certamente di Conte.

Il Miur nasce sul finire degli anni ’90, nell’ambito delle riforme Bassanini per la semplificazione e la riorganizzazione della macchina amministrativa, sostenuto dall’idea che fra il sistema scolastico, l’alta formazione artistica e universitaria e la ricerca ci fosse un continuum, un orizzonte comune con cui attrezzare il paese ad affrontare le sfide della società della conoscenza e dell’innovazione tecnologica, alle porte del nuovo millennio.

Le istituzioni della conoscenza potevano essere accomunate in unico ministero e sotto un solo decisore politico: l’autonomia già sperimentata nelle università poteva diventare realtà anche nelle scuole, rispettando quanto scritto nella nostra Costituzione all’articolo 33. Ccosì è stato. È su questa intuizione che si è realizzato nel tempo il Comparto della Conoscenza, e infine il 19 aprile del 2018 è stato sottoscritto il primo ccnl Istruzione e Ricerca.

Perché ora questo ritorno al passato? Perché su questa scelta non si è registrata alcuna reazione di rilievo sia da parte delle comunità scientifica ed educante coinvolte, che delle organizzazioni sindacali, né da parte degli addetti ai lavori? Eppure il tema non è solo burocratico amministrativo.

Evidentemente la separazione era già una scelta compiuta nella testa e nell’orizzonte di molti, a cui ci si era assuefatti: troppi gli inciampi e le difficoltà nella costruzione della filiera della Conoscenza, che hanno fatto prevalere gli interessi corporativi su quelli d’insieme, schiacciando sotto i differenti pesi le specificità dei settori costitutivi.

Senza una visione strategica forte l’orizzonte della Conoscenza finisce per essere un peso e un inciampo. Certamente il bilancio di circa 15 anni di Miur non ha aiutato e non è stato esattamente positivo per tutti i settori della conoscenza: travolto dai pesanti tagli al welfare e dalla precarizzazione dilagante, nonché dalle forzose riforme del sistema scolastico fino alla pessima “buona scuola”. Lo stesso ministro di turno ha finito per essere prevalentemente, se non solo, il ministro dell’Istruzione.

Insomma: la “filiera della conoscenza” non solo non è stato il volano per il rilancio di scuola, università e ricerca, ma non ha saputo nemmeno arginare il sostanziale definanziamento operato in questi settori, dove altri competitor hanno innalzato la loro spesa in rapporto al Pil anche negli anni della crisi (Germania, Francia e Giappone). Mentre in Italia la scuola ha finito per essere il terreno politico prevalente di scontro per il centro destra e non solo (vedi governo Renzi), per portarla nell’alveo della cultura d’impresa sotto le spinte capitalistico-finanziarie, della selezione e separazione per censo degli studenti, fuori dall’esperienza “alta” della Scuola della Costituzione.

 

Un declino per la “filiera della conoscenza” e una deriva a cui neanche la nostra Federazione dei Lavoratori della Conoscenza ha saputo sottrarsi se, com’è stato, non ha saputo opporsi con chiarezza a questo spacchettamento, né, per contro, non l’ha salutata come un’opportunità. Uno spacchettamento che prima o poi toccherà anche l’assetto contrattuale, inevitabilmente destinato ad essere revisionato alla luce di ciò che è accaduto. Un ritorno al passato che finirà per travolgere anche la “catena di senso” della nostra Federazione.

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