Riders: la Cassazione fa chiarezza - di Maria Gabriella Del Rosso

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Suscitò un coro di consensi la sentenza della Corte di Appello di Torino (numero 26 del 4.2.2019) con la quale fu riconosciuto il diritto dei riders impiegati da Foodora ad essere retribuiti come i lavoratori subordinati, pur appartenendo a un “terzo genere” di rapporto, né subordinato né autonomo. Ad avviso di molti interpreti, tuttavia, la sentenza presentava aspetti opinabili, perché in sostanza riconosceva il diritto ad una retribuzione equa, ma negava l’ampia tutela giuridica del rapporto di lavoro subordinato. In sostanza la sentenza si fondava sull’articolo 2 D.lgs 81/2015 (uno dei decreti attuativi del jobs act), che recita: “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”.

Con questa norma il legislatore aveva inteso dare un minimo di tutela ai lavoratori che operano in base a piattaforme digitali, come appunto i riders, ma nello stesso tempo consentiva una interpretazione restrittiva, in base alle modalità della prestazione, della natura giuridica del rapporto di lavoro.

Pur volendo dare un diverso indirizzo alla attuazione della disciplina, tuttavia la Corte di Appello di Torino si era arrestata di fronte ad una chiara definizione della natura del rapporto, rilevando l’esistenza, per tali rapporti, di una “zona grigia”, intermedia tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo, così negandone la tutela giuridica, in particolare quella relativa al licenziamento.

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 1663 pubblicata il 24 gennaio scorso, rigettando il ricorso proposto dall’azienda avverso la sentenza di Torino, ha affermato che non vi fosse ragione per ritenere la sussistenza di un “terzo genere” di rapporto, configurato da coesistenti elementi di subordinazione e di autonomia. Aveva errato, la sentenza impugnata, scegliendo di optare per un’applicazione selettiva delle disposizioni approntate per la subordinazione, limitata alle norme riguardanti la sicurezza e l’igiene, la retribuzione diretta e differita (quindi l’inquadramento professionale), i limiti di orario, le ferie e la previdenza, ma non le norme sul licenziamento.

La Suprema Corte ha spiegato che l’articolo 2 D.lgs 81/2015 si colloca nell’ambito dell’intento dichiarato dal legislatore nella legge delega (la 183/2014) di favorire l’incremento dell’occupazione, e deve essere contestualizzata alle profonde e rapide trasformazioni conosciute negli ultimi decenni nel mondo del lavoro, anche per effetto delle innovazioni tecnologiche; trasformazioni che hanno inciso profondamente sui tradizionali rapporti economici e sulle caratteristiche della prestazione lavorativa di ampi settori. Quindi, ad avviso della Cassazione, la valorizzazione di taluni elementi fattuali (personalità, continuità, etero-direzione) operata dalla norma è sufficiente a giustificare l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato nella sua totalità.

“In una prospettiva così delimitata – si legge nella sentenza – non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina”, e non creando una nuova fattispecie di lavoro.

Vi è da dire che il legislatore è nuovamente intervenuto sul lavoro attraverso piattaforme digitali e, in particolare sui riders, con la legge numero 128 del 2.11.2019, eliminando dall’originaria norma la parola “esclusivamente” e sostituendola con “prevalentemente”, sopprimendo le parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” e aggiungendo all’ultimo periodo il seguente testo: “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

Peraltro questa nuova disciplina, che certamente colloca i riders nell’ambito del lavoro subordinato, non è retroattiva, e dunque si applica solo ai rapporti instaurati dopo la sua entrata in vigore. Quindi c’è ancora un ampio margine di applicazione dei principi espressi dalla Corte di Cassazione con questa sentenza a tutti i rapporti instaurati prima. Non può sfuggire l’importanza dell’intervento del giudice di legittimità, non solo per l’applicazione delle norme di legge e della contrattazione collettiva durante lo svolgimento del rapporto, ma anche – e soprattutto – per l’applicazione delle tutele riservate alla risoluzione del rapporto.

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