Il 29 marzo un No per sbarrare la strada ai revisionisti del lavoro - di Alfiero Grandi

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Alle ragioni del No - già ben illustrate da Alfonso Gianni - mi limito ad aggiungere che il taglio del parlamento del 37% è grave in sé, in quanto scarica su Camera e Senato le contraddizioni, gli errori, i ritardi e i problemi non risolti di un intero assetto istituzionale - a partire dal governo. Che non trova di meglio che intaccare pesantemente la credibilità e il ruolo di un architrave come il Parlamento, che deve rappresentare lo snodo essenziale della rappresentanza dei cittadini. La motivazione dei costi è semplicemente ridicola. Per dimostrare un risparmio hanno dovuto arrotondare verso l’alto il totale e moltiplicare per 10 anni, un trucchetto da baraccone.

Altro sarebbe stato discutere del ruolo del Parlamento, in un quadro di suo rilancio. Lo fecero anni fa Ferrara e Rodotà, proponendo il monocameralismo a condizione che il Parlamento fosse messo in grado di svolgere a pieno il suo ruolo e venisse approvata una legge elettorale proporzionale, con la possibilità degli elettori di scegliere direttamente i propri rappresentanti. Oggi non è così, la scelta degli eletti appartiene ai capi partito che di fatto nominano i parlamentari, sconosciuti agli elettori.

Altri proposero un bicameralismo alla tedesca con la Camera e il Bundesrat, cioè la rappresentanza delle regioni che esprimono un voto unico sulle materie che le riguardano, sempre nel quadro di un rilancio del Parlamento.

Oggi, per effetto di una demagogia facilona e di un populismo che favorisce la destra, il Parlamento viene ridimensionato del 37% e relegato al ruolo di votificio, mentre il governo diventa sempre più il perno del sistema istituzionale. Controprova la proposta di Renzi dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ulteriore conferma che si scaricano sul Parlamento contraddizioni anzitutto di altri.

Certo, i parlamentari meritano molte critiche, ma sono “nominati” dall’alto e non rispondono ai cittadini ma ai loro capi partito, che cercano l’unica qualità della fedeltà. La qualità del Parlamento è diminuita, un male per la democrazia italiana.

Il Parlamento è stato riconquistato dopo la Liberazione, con la Costituzione, mentre il fascismo aveva fatto della Camera un organo nominato dal regime. Va difeso con forza.

Le sinistre che avevano tante ragioni per dare vita alla nuova maggioranza, dopo che la Lega ha fatto cadere il Conte 1, hanno sbagliato ad accettare le modifiche della Costituzione, a cui avevano votato contro per ben tre volte. Dovevano chiedere di ridiscutere tutto. Un tatticismo che ha confuso ancora una volta programma di governo e Costituzione. Tanto è vero che - per riequilibrare - ci si è inventati ulteriori modifiche costituzionali, per ora avvolte dalla nebbia, e una promessa di legge elettorale che ha scarsa credibilità di merito (sbarramento troppo alto in presenza del taglio dei parlamentari, e assenza del diritto degli elettori di scegliere direttamente gli eletti), e soffre della instabilità del governo. Infatti per ora è anch’essa nella nebbia.

La cosa migliore, più ragionevole è bocciare il taglio del Parlamento. Questo farà bene anche al M5S, che ancora sembra non aver capito perché ha perso mezzo elettorato a favore della Lega, e rischia di cederne altro ancora se continua a cavalcare la facile demagogia, nella speranza di ritrovare energie perdute. In realtà il M5S è prigioniero della contraddizione: non si può fare anticasta e casta nello stesso tempo, quindi oggi è parte dei problemi.

Se il Parlamento svolgesse il suo ruolo le istanze della società, a partire dal lavoro, potrebbero ridiventare centrali. Il jobs act è stato possibile perché non c’è stata ribellione dei parlamentari ad una scelta inaccettabile, e il ricatto del capo (all’epoca Renzi) impedì dissensi. Il Parlamento deve tornare ad essere permeabile alla società, alle sue istanze, se possibile anche meglio che in passato. Deve finire l’epoca dei soldatini che votano sempre sì.

Se il Parlamento non funziona o funziona male ne risentono le istanze della società. La democrazia funziona male o per nulla. Il mondo del lavoro ha tutto da guadagnare da una democrazia funzionante. Certo, ci vorrebbero anche partiti degni di questo nome, capaci di raccogliere e progettare. Ma senza un ruolo forte del Parlamento tutto è concentrato negli accordi di potere, nei circoli ristretti, nell’obbedienza ai capi.

Se il Parlamento funziona male, o è di pessima qualità, è la democrazia che ne risente e i lavoratori ne subiscono le conseguenze: i poteri forti se la cavano sempre, perfino quando si fanno la guerra, ma il mondo del lavoro no, ha bisogno della democrazia, ha bisogno di ascolto, di decisioni politiche.

Ci sarà pure una ragione se i costituenti decisero la formula che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Una frase decisiva, fondante, che deve essere attuata giorno dopo giorno e che richiede che il 29 marzo vinca il No, per sbarrare la strada ai revisionisti del lavoro.

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