Il lavoro precario ai tempi del virus - di Riccardo Chiari

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Fra i tanti effetti collaterali del coronavirus, ci sono quelli che impattano sui lavoratori meno tutelati sotto il profilo contrattuale, per effetto dei provvedimenti di prevenzione emanati dalle autorità. Caso da scuola è quello dei lavoratori della gig economy, che rischiano di vedersi sospendere o interrompere il contratto, o di subire una riduzione dell’orario.

Ai sindacati della categoria dei cosiddetti “atipici” sono arrivate, ad esempio, decine e decine di segnalazioni da parte dei rider. Messaggi che vanno dal pesante calo del lavoro, alla mancanza di tutele che li mettono a rischio durante le consegne. I lavoratori del food delivery girano di casa in casa senza il minimo dispositivo di protezione individuale fornito dall’azienda. Ad aumentare le preoccupazioni, in diverse città le stesse piattaforme hanno tolto il minimo orario garantito ai loro “dipendenti”.

Più in generale, per i lavoratori che sono privi delle tutele tipiche dei lavoratori subordinati, subendo più di altri penalizzazioni e disagi, l’effetto del coronavirus è rilevante. Per questo i sindacati hanno iniziato a discutere con il governo di peculiari ammortizzatori sociali per loro. Ma per ora sono state assicurate garanzie solo per chi lavora nelle cosiddette “zone rosse”, lasciando scoperti tutti gli altri.

Per certo ai tavoli ministeriali, che in questi giorni sono diventati ormai permanenti, si va avanti. Con l’obiettivo di estendere diritti e tutele anche ai fattorini delle consegne a domicilio, a quelli con contratti atipici del mondo dello spettacolo, e nel complesso a tutti coloro che sono stati investiti dal (folle) clima di terrore innescato dal virus, e soprattutto dalla sua comunicazione alla collettività da parte di alcune forze politiche, Lega salviniana in testa.

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